giovedì 26 marzo 2009

Dizionario ludico: I giochi sportivi

Il centravanti scatta sulla fascia, cogliendo rapido un passaggio vagante a centrocampo. La difesa arretra all'unisono, pronta a coprire ogni spazio e a far scattare la trappola del fuorigioco se necessario. Ormai lo hanno stretto all'angolo, sembra che non abbia più spazio di manovra... ma ecco che l'attaccante si infila al centro, dimenticato dagli avversari, e spiccando un salto intercetta il cross a centro area e colpisce la palla di testa! Goal!
Ora, tutto questo succede più o meno ogni domenica sui campi di calcio. Ma provate voi a ricrearlo con ventidue pupazzetti di legno o di plastica su di un campo di stoffa e senza un intero stadio a disposizione. E no, qui non c'entrano gli scandali sull'imparzialità degli arbitri...
Creare un gioco sportivo da tavolo rapresenta una sfida non da poco, insomma. Come rappresentare il dinamismo, i colpi di scena, i repentini cambiamenti di fronte di una partita di calcio o di rugby o anche di una corsa automobilistica? I pezzi di un gioco non si muovono da soli, nemmeno a pregarli in turcomanno...
I numerosi titoli sportivi che si sono susseguiti nel tempo hanno seguito sostanzialmente due approcci contrapposti. Da un lato quello dell'astrazione pura, come ad esempio Formula Dè con i suoi tiri di dado che determinano le velocità delle vetture di Formula Uno o il BrettFussball molto famoso in Germania che si affida sempre ai dadi per determinare la posizione in campo dei calciatori; dall'altro quello della simulazione totale, che mette i giocatori in una posizione di controllo assoluto con una riduzione al minimo del fattore casuale, come l'ottimo Bolide dell'italiana Ghenos Games che fa muovere le monoposto di Formula Uno con un sistema vettoriale (tranquilli, è MOLTO più facile di quanto sembri... io sono riuscito a capirlo dopo tre mosse ed ero una capra in fisica!) o l'intramontabile Subbuteo che addirittura richiede un intervento manuale (le fantastiche "schicchere"... ne riparleremo di questo titolo cult!).
Attualmente sul mercato il genere sportivo è molto ben rappresentato, dunque, sia perchè si tratta di una tipologia di giochi molto commerciabili (chiunque, anche se "profano" del gioco, sa come funziona una partita di calcio o una gara automobilistica!), ma anche perchè pochi eventi sono così emozionanti come un grande incontro sportivo. Per non dimenticare poi la facilità con cui si possono organizzare tornei e campionati, sulla falsariga di quelli della vita reale.
Forse si tratta di un settore un po' di nicchia e non amato da tutti i giocatori, però proprio in quest'ultima caratteristica, in questo sconfinamento dagli usuali temi del gioco e nell'avvicinamento dello sport al mondo ludico, sta la vera peculiarità di questi giochi. E' difficile trovare un regolamento che soddisfi davvero e sappia ricreare l'atmosfera agonistica, ma quando se ne trova uno con ogni probabilità diverrà un classico seguito da schiere di appassionati.
E' una scommessa che hanno tentato in molti titoli e che alcuni hanno anche vinto...

mercoledì 25 marzo 2009

sabato 21 marzo 2009

Il "caso Games Workshop"


Il giocatore di giochi da tavolo e soprattutto di wargames è uno strano animale. Anche se dedica la maggior parte del suo tempo libero ad un’attività apparentemente frivola, spesso lo fa con una serietà assoluta, che non ammette compromessi nei confronti del mondo esterno. Vuole giochi belli, ben realizzati e poco gli importa dell’aspetto puramente commerciale: i prodotti che utilizza sono infatti nella maggior parte dei casi prodotti semi-artigianali, che non rispondono a logiche di tipo industriale nei loro processi di realizzazione. Anzi, guai a introdurre logiche eccessivamente mercantilistiche in questo suo piccolo mondo dorato. Una ditta, verso la metà degli anni Ottanta, iniziò a mettere in dubbio questo assioma. Nata a Londra nel 1975, la minuscola Games Workshop aprì i battenti producendo scacchiere e pedine per i più classici giochi di scacchiera; poi, qualche anno dopo, i suoi fondatori ebbero l’idea di cavalcare l’ondata del fantasy e della fantascienza, anche grazie ad un lucroso contratto: i diritti di distribuzione per la Gran Bretagna del gioco di ruolo per eccellenza, Dungeons and Dragons. Con una piccola rivista distribuita per posta, White Dwarf, e una ditta di produzione di miniature, la Citadel, nel 1983 vide la luce la prima edizione del regolamento Warhammer. E tutto ebbe inizio. Sia che siate giocatori o meno, vi sarà capitato di vedere degli strani negozi con una gigantesca scritta gialla bordata di rosso, spesso contraddistinti da un certo movimento di ragazzini schiamazzanti che guardano estasiati le vetrine piene di “pupazzetti” colorati: quelli sono i negozi ufficiali della GW. Sì, perché la GW, unica tra tutte le ditte produttrici di giochi e miniature, può permettersi dei veri e propri outlet, nei quali si vendono solo le sue miniature, si provano i suoi giochi, si organizzano i suoi eventi dimostrativi, si organizzano corsi di pitturazione dei suoi modelli... Tutto questo ha messo in dubbio le certezze ludiche di molti giocatori. Nel mondo del gioco entrava di prepotenza un soggetto che risponde a logiche industriali, con un marketing molto spinto ed un “ecosistema” ludico autosufficiente (ti do il gioco, i pezzi, i colori, gli elementi di scenario, i tavoli... ti do tutto io, “mamma GW”). Uno scenario un po’ inquietante e senz’altro piuttosto costoso - il prezzo medio di un esercito giocabile si aggira ormai intorno ai 200 euro - che ad alcuni è parso addirittura contrario all’etica del mondo del gioco. Intendiamoci, i regolamenti dei principali titoli GW (Warhammer, Warhammer 40.000, Il Signore degli Anelli) non sono perfetti nella loro stesura (chi mi conosce sa che ho di che ridire su molti di loro), ma sono invece perfetti per essere giocati o in torneo o per partite improvvisate, al contrario di altri regolamenti fantasy o storici. Bastano pochi minuti (ma molti più soldini...) per preparare un “tavolo” per una partita che nella maggior parte dei casi durerà dalle due alle tre ore. E’ forse un male tutto questo? La GW oggi può permettersi, grazie agli introiti dei suoi titoli principali, di gestire (anche se da poco tempo non più direttamente) una linea di regolamenti più complessi - i giochi Specialist - e addirittura una sua serie di regolamenti storici - la Warhammer Historical - derivati dai regolamenti fantasy e fantascientifici e spesso di sorprendente qualità ludica. La GW ha rappresentato un ottimo trampolino di lancio per molti giocatori che, dopo essersi menati per anni con elfi e orchetti, sono passati a menarsi per altri anni con granatieri della Guardia Imperiale francese e fucilieri di linea britannici. La GW, con i suoi negozi e i suoi prodotti modellistici (utensili, pennelli, colori...), offre una fondamentale rete di supporto ai giocatori di wargames e con la sua politica di avvicinamento del gioco alle famiglie (oggettivamente, pochi posti sono sicuri per un ragazzino come un negozio GW, dove il pargolo viene praticamente guardato a vista dal disponibilissimo staff presente... anche se la cosa potrebbe essere poco salutare per il vostro portafoglio!) fa sì che il gioco non sia più visto come qualcosa di strano ma come una normale attività ricreativa. Insomma, si faranno tirare dietro maledizioni a non finire per i loro regolamenti eccessivamente macchinosi e poco comprensibili, per la mania delle espansioni che spingono ad acquistare miniature sempre nuove (che però sono anche fatte dannatamente bene!), per i pomeriggi persi a dipingere il reggimento dei Massacratori Puzzolenti della Pestilenza di Nurgle (imbattibili nel corpo a corpo!), ma i ragazzi della GW rappresentano ancora un elemento positivo per il mondo del gioco. E, dopo venticinque anni dall’uscita del loro primo regolamento fantasy, incuranti della recessione globale, sono ancora tra noi...

mercoledì 18 marzo 2009

Platone, Leggi VII 803

"Si deve vivere giocando, facendo dati giochi, e dati sacrifici, cantando e ballando, per poter rendere propizi gli dèi, respingere i nemici e vincerli nella battaglia".
- Platone, Leggi VII 803 (cit. in J. Huizinga, Homo Ludens).

domenica 15 marzo 2009

Il grande nemico del gioco da tavolo?

Accanto al mondo tradizionale del gioco "intelligente" con i suoi segnalini in cartone, le sue pedine di plastica, i suoi soldatini di metallo, si è sviluppato un mondo ludico parallelo, forse più movimentato e di sicuro in perenne evoluzione: il videogioco.
I rapporti tra gioco "reale" e gioco "virtuale" sono sempre stati complessi. Se all'inizio, in quei primi anni Ottanta in cui nacque la vera informatica di consumo, quella dei videogiochi parve essere una moda passeggera (tanto che nel 1983 si assistette ad una vera e propria crisi del settore, dovuta alla iper-saturazione del mercato con prodotti scadenti e scarsamente originali), ben presto ci si rese conto che il gioco per computer si era trasformato in una realtà stabile, destinata a perdurare nel tempo.
Poco importa quale piattaforma esso utilizzi (PC, console di casa, console portatile...), il videogioco è un oggetto ludico molto variegato, con generi e sottogeneri, e che ha subito notevoli modificazioni dai suoi primi passi.
Per quel che ci riguarda, mettendo cioè da parte tutti i miglioramenti nella grafica e nelle interfacce dovuti all'avanzamento tecnologico, il vero salto di qualità del videogioco è stato il passaggio al multigiocatore. Se all'inizio, eccettuati alcuni notevoli titoli, l'unica sfida collettiva che il videogioco poteva offrire era un confronto "indiretto" tra i diversi punteggi ottenuti, la diffusione delle tecnologie telematiche e in massima parte di Internet ha progressivamente fatto divenire il videogioco un'occasione di svago contemporaneo per più persone, tra l'altro nemmeno legate da vincoli di distanza (quante notti ho passato con il mio adorato Call of Duty a sparacchiare contro americani, inglesi, tedeschi, spagnoli, neozelandesi, giapponesi e chissà che altro...).
Però... però allo stato attuale il videogioco continua ad avere la grande limitazione di rimanere comunque un supporto ludico individuale nel quale manca un vero e proprio scambio interpersonale. Anche se posso comunicare molto rapidamente con gli altri giocatori tramite chat vocali o video, non ho l'opportunità di rapportarmi di persona con chi gioca con me. Non c'è la gioia di trovarsi insieme a casa di qualcuno, di andare a prendere una pizza dopo la partita, di preparare e toccare i materiali di gioco. Non a caso le esperienze videoludiche più divertenti sono i LAN party - incontri dal vivo in cui ogni giocatore si porta appresso il suo computer - o quei giochi che permettono di gareggiare "contemporaneamente" sullo stesso schermo (il successo della console Wii di Nintendo è emblematico).
L'esperienza videoludica rimane dunque molto attraente, senz'altro coinvolgente, ma ancora solitaria. La barriera rappresentata dallo schermo del computer o del televisore non è stata ancora infranta e i rapporti che si vengono a creare rimangono comunque un po' "artificiali" (ecco per esempio perchè le "gilde" dei giochi di ruolo online hanno comunque bisogno di vedersi di persona al di fuori dell'ambiente di gioco, per mantenere i contatti). Rimane l'indubbio vantaggio di avere un mezzo di divertimento già pronto all'uso (ma provare a modificare le regole di un gioco non è forse una delle cose più belle della nostra passione?) e in alcuni casi - come vedremo - il computer può rappresentare un valido ausilio anche per i giochi tradizionali faccia a faccia.

martedì 10 marzo 2009

La prospettiva del pedone

Esiste un fenomeno psicologico molto particolare che colpisce alcuni giocatori, in special modo quelli di wargames ma non solo.
Si passano ore e ore a studiare regolamenti, a concepire le tattiche di battaglia più elaborate, a valutare con attenzione i comandi che si possono dare ai propri uomini soppesandone i vantaggi e gli svantaggi... poi, nel bel mezzo della partita, si deve verificare se una data unità è in grado di coprire una certa distanza, se esiste una "linea di vista" libera che permetta ai propri arcieri di individuare il loro bersaglio, se il comandante è abbastanza vicino alle truppe, se quel dannato autobus in fiamme piazzato in mezzo alla strada garantisce una copertura sufficiente al nostro plotone.
Allora, il giocatore compie un gesto inusitato per un comandante, un'azione che per un qualche secondo pone la simulazione ludica al di sopra anche della realtà: il giocatore si china sul tavolo e, abbassatosi all'altezza della sua miniatura o della mappa di gioco, vede attraverso i suoi occhi. Con questa semplice mossa il comandante supremo si mescola alle sue truppe, diventa i suoi soldati e, forse, capisce cosa esse provano.
Il processo di immedesimazione può anche essere meno "intenso" di quello che vi ho appena descritto, ma quanto meno esso permette al giocatore attento di visualizzare per un attimo cosa dovesse provare un reggimento di fanteria impegnato a difendere fino all'ultimo uomo il fianco di uno schieramento o uno squadrone di cavalleria chiamato a lanciarsi in una carica quasi certamente suicida solo per fornire un diversivo. Ecco che nascono le leggende sui tavoli da gioco, i reggimenti più valorosi, i guerrieri che "muoiono" solo dopo aver mantenuto eroicamente la propria posizione, i soldati semplici che da soli neutralizzano una postazione di mitragliatrici nemiche. I nostri pezzi di gioco acquistano vita e noi, ancor di più, siamo scaraventati nel bel mezzo di eventi effettivamente inesistenti ma reali nella nostra esperienza concreta del momento.
Mi ricordo che tempo fa ebbi modo di portare all'estremo questa consapevolezza, grazie ad un gioco molto "personale" non mediato da un tavolo e da una mappa: una battaglia di gioco di ruolo dal vivo. Mi trovavo nel bel mezzo della linea principale dello schieramento e ricevetti - come tutti gli altri intorno a me - l'ordine di avanzare sul nemico. Bastarono pochi passi per infrangere tutte le false certezze che mi avevano regalato i miei studi sulle battaglie medievali. Mantenere l'allineamento era quasi impossibile, i nemici si avvicinavano minacciosi, il sudore si infilava nelle pieghe della veste, le armi sbattevano le une sulle altre e pensare anche alla più semplice mossa d'attacco pareva impossibile. Eppure era solo un gioco, nessuno sarebbe morto quella mattina nè tantomeno io avrei potuto ferirmi in alcun modo; tuttavia, da quel giorno in poi, la tensione e l'emozione provata mi avrebbero fatto riflettere in maniera molto diversa ogni volta che mi fossi trovato ad ordinare una carica.
Il gioco fa anche questo, dissociandoci dalla realtà quotidiana ci aiuta a calarci (senza rischi) in un'altra realtà simulata, permettendoci di comprenderne alcune caratteristiche che altrimenti ci sfuggirebbero.
Sapere che oltre una certa distanza gli ordini corrono il rischio di arrivare confusi o non arrivare affatto, o ancora che alla fine del secondo tempo i calciatori sono troppo stanchi per seguire alla lettera gli schemi provati in allenamento ci aiuta ad imparare alcune cose importanti sulle battaglie, sugli sconvolgimenti finanziari, sugli stress di un evento sportivo. Si impara, dunque, ma soprattutto ci si può ritrovare a valutare il mondo da una nuova prospettiva.
Quella del pedone.

lunedì 9 marzo 2009

Le Leggi del Gioco

Prima Legge del Gioco:
"Il valore del risultato di un tiro di dado è inversamente proporzionale
alla sua utilità ai fini della vittoria della partita."

giovedì 5 marzo 2009

Dizionario ludico: Il wargame

Mi sembrava giusto iniziare questa rubrica, che ha lo scopo di spiegare anche ai "non addetti ai lavori" i termini spesso un po' astrusi del mondo del gioco, con quella che è la mia passione ludica primaria: il wargame.
Il "gioco di guerra" o "gioco di simulazione" (le traduzioni italiane del termine - prettamente anglosassone - hanno un po' oscillato nel tempo) ha radici antichissime. L'idea di ricreare uno scontro armato mediante una sua rappresentazione sostanzialmente innocua si èmanifestata nei modi più disparati, dai giochi di scacchiera egizi al Kriegspiel delle accademie militari tedesche.
Tuttavia, ciò che distingue gli scacchi, i loro progenitori e i loro derivati, dai wargames è la ricerca di un sistema di simulazione preciso e concreto dell'esito degli scontri, agli antipodi della tendenza all'astrazione di re, pedoni, alfieri e regine. Lo scopo del "gioco" è appunto ricreare l'incertezza del campo di battaglia, le variabili che un comandante deve affrontare e l'efficienza delle truppe. Riuscirà la mia cavalleria pesante a infrangere le linee della fanteria nemica, oppure verrà fermata dal tiro degli arcieri appostati nel bosco? Per determinare l'esito delle azioni si utilizzano così dadi (che vengono regolarmente fatti oggetto delle più fantasiose imprecazioni da parte dei giocatori), tabelle (responsabili della diminuzione dei gradi di vista di un'intera generazione) e talvolta altri ausilii come carte o segnalini vari.
Dal punto di vista pratico, attualmente esistono due forme principali di wargame: il gioco di miniature, sviluppato soprattutto in Gran Bretagna e il gioco su mappa, che è nato negli Stati Uniti grazie agli editori Avalon Hill ed SPI.
Oggi, chiunque voglia ricreare un qualsiasi scontro armato della storia umana nel tavolo del salotto non ha che l'imbarazzo della scelta. Anzi, non deve nemmeno limitarsi alla realtà, perchè non si contano i regolamenti ambientati in mondi fantascientifici o fantasy, o anche in singolari commistioni di entrambi. Parleremo più avanti di termini come skirmish, gioco tattico e gioco strategico, ma per ora basta citare il fatto che questi regolamenti permettono di ricostruire scontri tra pochi uomini come gigantesche campagne condotte da interi eserciti. Il tutto, auspicabilmente, nell'arco di un pomeriggio o di una (lunga) serata.
Proprio la durata è andata rappresentando via via un problema sempre maggiore, e sempre più vanno prendendo piede interessanti forme di "ibridazione" tra questo genere e giochi più "leggeri" improntati ad una maggiore giocabilità (anche se con qualche sacrificio in termini di realismo).
Assistiamo dunque ad una ulteriore evoluzione del genere (che tende anche ad esulare dal semplice elemento bellico, tanto che alcuni parlano ormai di conflict simulation: simulazione di conflitto), ma nonostante tutti i suoi mutamenti il fascino di poter ricreare lo sbarco in Normandia o la battaglia di Waterloo in casa propria con gli amici continua ad essere inarrivabile...

lunedì 2 marzo 2009

Il gioco e i profani, i profani e il gioco

Forse un po' per amore del paradosso, il primo vero post di Ratio Ludica è dedicato proprio agli "estranei" al mondo del gioco, ossia a tutti coloro che per un motivo o per l'altro sono lontani da questo hobby.
L'atteggiamento dei "profani" nei confronti dell'universo ludico è ovviamente molto variegato. Si va infatti dalla semplice sufficienza alla presa in giro, dalla non comprensione di come ci si possa divertire passando ore e ore attorno a un tavolo a una sorta di scoramento individuale perchè certi giochi sono "troppo difficili" (per quanto, va detto che il mercato ludico fornisce attualmente un ventaglio estremamente ampio di offerte, con titoli che spaziano dal regolamento iperdettagliato al gioco veloce da mezzora o poco più).
Alcuni di questi atteggiamenti negativi sono cagionati quindi o dalla scarsa conoscenza della realtà ludica e del divertimento che essa può offrire o anche da quella fastidiosa supponenza che in molti hanno per i giocatori, considerati o dei cretini o - nel migliore dei casi - come dei bambinoni che non sono ancora cresciuti. Il "profano" da un lato è dunque colto da un senso di disorientamento la prima volta che mette piede in un negozio del settore o, peggio ancora, in un'associazione ludica; dall'altro reagisce a certe stramberie del nostro piccolo mondo con un aprioristico rifiuto perchè tanto "non è una cosa seria".
Sì, perchè di stramberie tra i giocatori ce ne sono eccome. Alle volte pare che il gioco, con il suo potenziale catartico dai vincoli della realtà contingente, stimoli le stranezze insite nei caratteri di chi gioca, portando spesso all'estremo determinati atteggiamenti o modi di essere che vengono facilmente travisati (toglietevi quelle orecchie da elfo, avanti!). Anche la supponenza da parte dei non giocanti trova un deprimente contraltare nell'attitudine dei giocatori a bollare come "privo di fantasia" chiunque non sia capace di trovare divertimento da quella che oggettivamene è una mappa in cartoncino con delle pedine di plastica e un paio di dadi a sei facce (una bella dose di realtà ogni tanto non fa male a nessuno).
Il mondo del gioco, insomma, non è esente da colpe se il mondo del non gioco gli si mostra sprezzante e talvolta addirittura ostile.
La realtà è che il gioco ci pone di fronte a delle sfide all'apparenza inutili perchè slegate da un riscontro reale nella realtà a differenza delle normali attività umane (si dice spesso, ad esempio, che la politica è un gioco, mentre invece è o dovrebbe essere una cosa dannatamente seria viste le conseguenze che essa ha sulle nostre vite) e richiede anche un certo impegno costringendoci a studiare delle regole che - al di fuori del tavolo a cui siamo seduti - francamente non avrebbero significato; non tutti possono o vogliono fare tutto ciò, ma non per questo significa che essi siano peggiori o migliori di chi passa le nottate a dipingere pezzi di piombo o a cercare di accaparrarsi una scatola ormai rara su e-bay.
D'altro canto non è vero che chi segue questa passione è rimasto all'infanzia, perchè tra il gioco con i soldatini di piombo dei bambini di sei anni e un wargame napoleonico che ricrea gli scontri sul Pratzen durante la battaglia di Austerlitz passa la stessa differenza che divide un aeroplanino di carta da un Boeing 747: volano entrambi, ma in maniera diversa e con presupposti diversi.
Se insomma i giocanti si rapprocciassero ai non giocanti con minore arroganza, e se questi ultimi si accostassero al mondo ludico con animo aperto e sana curiosità intellettuale tutti ne avrebbero da guadagnare.

Benvenuti!

Ok, magari è un po' banale, ma in fondo è questo che ci si aspetta dal primo post di un blog, no?
E allora, bando alle ciance, e benvenuti su Ratio Ludica, un blog dedicato al gioco ma soprattutto a quelle strane figure umane che vanno sotto il nome di "giocatori".
Se leggerete il sottotitolo del blog saprete già cosa attendervi: un'accozzaglia più o meno disordinata di riflessioni su cosa significa giocare, chi sono coloro che giocano e quali sono i motivi che spingono persone all'apparenza perfettamente normali a dedicare ore e ore ad un'attività (apparentemente) del tutto inutile. E, nei casi più disperati, perfino a scriverci sopra un blog.
Se invece non conoscete questo universo così particolare (e quindi con ogni probabilità siete finiti a leggere queste pagine solo per caso), vi consiglio comunque di dare un'occhiata ai post che si succederanno nel tempo proprio per comprendere meglio questa realtà, ben più diffusa di quanto si possa immaginare e soprattutto ricca di sorprese inaspettate. In queste pagine leggerete di "gioco intelligente", delle interazioni sociali che possono scaturire dal lancio di un paio di dadi e di ciò che passa per la testa di una persona media che decide di passare nottate intere a studiarsi regolamenti nelle lingue più disparate, dipingere soldatini di piombo, ritrovarsi con altri che condividono il suo stesso hobby e a dedicarsi ad un passatempo senz'altro diverso dal solito.
Chi scrive non si arroga di certo la qualifica di "esperto" del settore, soprattutto per motivi di pragmatico realismo sulle sue conoscenze ludiche, ma è comunque un appassionato cresciuto con l'idea che il gioco fosse un passatempo stimolante, in alcuni casi una scusa per ampliare le proprie conoscenze e soprattutto un efficace strumento di socializzazione.
Rifletteremo dunque insieme sul gioco in tutte le sue forme, dai wargames ai boardgames (e sì, chi non sa cosa accidenti significhino questi due termini può stare tranquillo: spiegheremo tutto anche ai "profani"), esamineremo alcune tendenze del mondo del gioco e soprattutto ci concentreremo sull'attività ludica e su cosa essa comporta.
Il tutto analizzando da più punti di vista la ratio ludica: la parte della nostra razionalità, della nostra attività conoscitiva, del nostro rapporto con il mondo esterno che si esplica mentre giochiamo.
E allora, come ebbe a dire un tempo un grande giocatore, andiamo avanti perchè alea iacta est!
Il dado è tratto!

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