lunedì 2 marzo 2009

Il gioco e i profani, i profani e il gioco

Forse un po' per amore del paradosso, il primo vero post di Ratio Ludica è dedicato proprio agli "estranei" al mondo del gioco, ossia a tutti coloro che per un motivo o per l'altro sono lontani da questo hobby.
L'atteggiamento dei "profani" nei confronti dell'universo ludico è ovviamente molto variegato. Si va infatti dalla semplice sufficienza alla presa in giro, dalla non comprensione di come ci si possa divertire passando ore e ore attorno a un tavolo a una sorta di scoramento individuale perchè certi giochi sono "troppo difficili" (per quanto, va detto che il mercato ludico fornisce attualmente un ventaglio estremamente ampio di offerte, con titoli che spaziano dal regolamento iperdettagliato al gioco veloce da mezzora o poco più).
Alcuni di questi atteggiamenti negativi sono cagionati quindi o dalla scarsa conoscenza della realtà ludica e del divertimento che essa può offrire o anche da quella fastidiosa supponenza che in molti hanno per i giocatori, considerati o dei cretini o - nel migliore dei casi - come dei bambinoni che non sono ancora cresciuti. Il "profano" da un lato è dunque colto da un senso di disorientamento la prima volta che mette piede in un negozio del settore o, peggio ancora, in un'associazione ludica; dall'altro reagisce a certe stramberie del nostro piccolo mondo con un aprioristico rifiuto perchè tanto "non è una cosa seria".
Sì, perchè di stramberie tra i giocatori ce ne sono eccome. Alle volte pare che il gioco, con il suo potenziale catartico dai vincoli della realtà contingente, stimoli le stranezze insite nei caratteri di chi gioca, portando spesso all'estremo determinati atteggiamenti o modi di essere che vengono facilmente travisati (toglietevi quelle orecchie da elfo, avanti!). Anche la supponenza da parte dei non giocanti trova un deprimente contraltare nell'attitudine dei giocatori a bollare come "privo di fantasia" chiunque non sia capace di trovare divertimento da quella che oggettivamene è una mappa in cartoncino con delle pedine di plastica e un paio di dadi a sei facce (una bella dose di realtà ogni tanto non fa male a nessuno).
Il mondo del gioco, insomma, non è esente da colpe se il mondo del non gioco gli si mostra sprezzante e talvolta addirittura ostile.
La realtà è che il gioco ci pone di fronte a delle sfide all'apparenza inutili perchè slegate da un riscontro reale nella realtà a differenza delle normali attività umane (si dice spesso, ad esempio, che la politica è un gioco, mentre invece è o dovrebbe essere una cosa dannatamente seria viste le conseguenze che essa ha sulle nostre vite) e richiede anche un certo impegno costringendoci a studiare delle regole che - al di fuori del tavolo a cui siamo seduti - francamente non avrebbero significato; non tutti possono o vogliono fare tutto ciò, ma non per questo significa che essi siano peggiori o migliori di chi passa le nottate a dipingere pezzi di piombo o a cercare di accaparrarsi una scatola ormai rara su e-bay.
D'altro canto non è vero che chi segue questa passione è rimasto all'infanzia, perchè tra il gioco con i soldatini di piombo dei bambini di sei anni e un wargame napoleonico che ricrea gli scontri sul Pratzen durante la battaglia di Austerlitz passa la stessa differenza che divide un aeroplanino di carta da un Boeing 747: volano entrambi, ma in maniera diversa e con presupposti diversi.
Se insomma i giocanti si rapprocciassero ai non giocanti con minore arroganza, e se questi ultimi si accostassero al mondo ludico con animo aperto e sana curiosità intellettuale tutti ne avrebbero da guadagnare.

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