giovedì 28 maggio 2009

Le "House Rules"

I giocatori, si sa, sono incontentabili.
Non importa quanto dettagliato sia un regolamento, quanto elaborato sia il bilanciamento dei diversi fattori di gioco, quanto complesse siano le strategie da adottare. Ci sarà sempre qualcosina che non va, un particolare da rimettere a posto, un elemento che sembra troppo potente rispetto agli altri, una situazione non prevista da regolamentare.
Ed ecco che compaiono, per la gioia degli assidui frequentatori dei forum di discussione ludica, le "house rules"!
Letteralmente "regole della casa", queste modifiche al regolamento "ufficiale" sono da sempre croce e delizia dei giocatori. Escogitate sul momento o frutto del lavoro di gruppi di appassionati che immancabilmente le riversano su Internet per condividerle generosamente con tutto il mondo, la loro complessità e la loro natura sono molto variegate: si va dalla modifica dei valori di alcune unità ("Ma questo reggimento di fanteria leggera usava fucili rigati e non moschetti a canna liscia: non può avere la stessa gittata degli altri! Allora aumentiamola di 20 centimetri e diamogli un +1 al tiro per colpire quando spara contro..."), all'introduzione di nuovi meccanismi ("No, no, no... devo mettere una fase per le controcariche di cavalleria, altrimenti non è realistico!") fino alla sostituzione integrale di pezzi del regolamento ("Ma la fase d'assalto messa così non funziona. Rivediamo un po' tutto quanto...").
Nate da un lato dalla ricerca di una migliore qualità del gioco e dall'altro dalla sconfinata arroganza dei giocatori che pretendono di saperne molto di più dell'autore di un gioco e di tutti coloro che lo hanno testato per mesi e mesi, le house rules comportano notevoli vantaggi in termini di "ampliamento" del gioco (tanto che, in effetti, alcuni regolamenti arrivano addirittura a incoraggiarle!) ma spesso rischiano di compromettere lo svolgimento di una partita, andando ad alterare gli equilibri dei diversi fattori o aumentando in maniera incontrollata la complessità generale del regolamento. Oltretutto, potrebbero anche non essere cosÏ condivise da tutti i giocatori... specialmente quando si trovano ad un passo dalla sconfitta proprio a causa di quella maledetta regoletta aggiuntiva sulla potenza in corpo a corpo delle colonne d'assalto della fanteria napoleonica che ci tenete cosÏ tanto a voler applicare.
Detto ciò, chi vi scrive ADORA pensare e ripensare regole aggiuntive, soprattutto nell'ambito del wargame storico nel quale vengono a scontrarsi giocabilità e realismo. In almeno un caso mi sono addirittura ritrovato a dover riscrivere un intero regolamento, vista la quantità di aggiunte che intendevo fare!
E' forse una condotta saggia? Non saprei, perché nella maggior parte dei casi non ho avuto occasione di provare le mie irrinunciabili aggiunte/modifiche/integrazioni. Di sicuro, riguardando la mole delle house rules di cui spesso si propone l'introduzione si comprende come in fondo i giochi esistono per essere giocati, in ogni loro forma e al di là del loro realismo e/o equilibrio.

martedì 19 maggio 2009

Oltre la partita: Tornei e campagne

Non sarebbe bello se le partite che facciamo non fossero singoli episodi, ma che il loro risultato potesse contare anche al di là di quella singola sessione di gioco in una vera e propria competizione tra più giocatori? O ancora, che gli eventi che si susseguano possano avere un qualche effetto anche sulle partite successive, creando così una “narrazione ludica” suddivisa in più episodi?

Da queste due istanze, più competitiva la prima e più narrativa la seconda, sono nati due capisaldi del gioco: i tornei e le campagne.

Nel primo caso ci troviamo di fronte ad una semplice trasposizione di ciò che accade normalmente in ambito sportivo. Le partite determinano punteggi oppure semplici eliminazioni dirette che, dopo un certo susseguirsi di scontri indicheranno un vincitore finale. Esistono ovviamente diversi formati di tornei (il più utilizzato è quello suddiviso in gironi “alla svizzera”), ma il fascino della competizione è sempre notevole e suscita un tale apprezzamento da parte di molti giocatori che alcuni regolamenti (specialmente nell'ambito wargamistico, ma non solo) paiono fatti apposta per essere giocati in torneo. D'altronde, a chi non piace giocare per vincere, e non solo per soddisfazione personale ma per avere un qualche trofeo che attesti la propria supremazia?

Caratteristiche tipiche di questi regolamenti sono la relativa semplicità delle regole (per ridurre i tempi di gioco e le discussioni sulle ambiguità delle regole stesse) e, nel caso dei wargames con miniature, la possibilità di “comporre” un proprio esercito fino ad una grandezza prefissata sulla base di punteggi predefiniti dati alle singole unità. Purtroppo proprio tali caratteristiche talvolta determinano una certa “sterilità” dei regolamenti, considerato anche che con il passare del tempo molti giocatori sviluppano “tattiche da torneo”, ossia scelte nella composizione dell'esercito o decisioni di gioco tese a sfruttare scappatoie nelle regole o a valorizzare al massimo anche il minimo vantaggio a scapito della “serenità” del gioco (si riconosce subito il giocatore da torneo perchè, anche nella più disimpegnata delle amichevoli, si fermerà a discutere per un errore di pochi millimetri nella misurazione di una mossa o per un'interpretazione di una regola).

Il secondo espediente è quello delle campagne. Già nota in ambito wargamistico ma diffusasi soprattutto grazie ai giochi di ruolo, la campagna è una parte di regolamento che assegna dei valori spesso graduati al comportamento dei giocatori durante la singola partita. A differenza dei tornei, il gruppo dei giocatori può anche essere relativamente ridotto e anzi non variare di partita in partita, e mentre i primi devono cercare di velocizzare al massimo le partite per poter arrivare ad una conclusione in un periodo accettabile di tempo, la campagna va nella direzione opposta: dilata il tempo di gioco svincolandolo dalla singola partita. Ad esempio, le unità del nostro esercito dovranno riassorbire le perdite subite in una battaglia, aumenteranno la propria esperienza, acquisiranno nuove abilità; oppure, se la campagna è più “strategica”, gli esiti di uno scontro potrebbero decidere il passaggio di una regione di confine da un “impero” ad un altro, con la conseguente possibilità di spendere le risorse appena conquistate per creare nuovi reggimenti o per ampliare il proprio tesoro.

Naturalmente anche le campagne possono essere competitive, e anzi spesso determinano una partecipazione emotiva molto più sentita di quella di un torneo in cui tutto può dipendere da una partita fortunata o meno: qui il vincitore finale avrà superato scontri su scontri spesso con ogni singolo concorrente, determinando più volte la sua superiorità. Il tutto con un forte potere narrativo (vi assicuro che dopo un po' fioriranno i racconti sui reggimenti di “immortali” oppure sulle epiche lotte per il possesso di quel maledetto passo di montagna dalla fondamentale importanza strategica, o ancora le macchinazioni tra diversi giocatori per abbattere insieme colui che pare essere in vantaggio sul risultato finale).

In ogni caso, sia tornei che campagne rappresentano una maniera interessante per espandere la propria esperienza ludica e, anche se richiedono un impegno psicologico e materiale senz'altro superiore rispetto alla partita “occasionale”, di sicuro garantiscono un divertimento molto maggiore.

domenica 10 maggio 2009

Dizionario ludico: Il gioco di ruolo

No, ho deciso che questo non sarà il solito articolo che vi spiega cosa sia un gioco di interpretazione. Né una dotta disquisizione sulle sue origini nella psicanalisi o ancora una recensione dei principali titoli del settore disponibili a chi voglia accostarsi a questo universo così affascinante. Né infine una polemica sui loro rischi, sui danni che un'eccessiva immedesimazione in personaggi e luoghi di fantasia possa arrecare a dei giovani ancora in età formativa.
Ciò che queste parole vogliono essere invece è una raccolta delle emozioni che il solo termine “gioco di ruolo” suscita in chi vi scrive, alla ricerca delle ragioni che determinano un tale coinvolgimento in chiunque abbia vissuto compiutamente almeno una sessione di gioco.
Per cominciare, se non avete mai giocato di ruolo, immaginate che invece di stare fermi a giocare una partita di scacchi con le vostre pedine ben disposte sul tavolo, per un qualsiasi motivo voi stessi diventiate una di quelle pedine, impegnata in un'aspra lotta tra la vita e la morte. Siete un pedone, avete poche armi e siete attorniati da nemici più numerosi e potenti di voi. Però dalla vostra avete la possibilità di abbattere anche il più potente dei guerrieri nemici con una manovra astuta o con un colpo ben assestato... e intorno a voi i vostri amici, le altre pedine, combattono al vostro fianco ognuno con le sue abilità e le sue debolezze. La partita ha inizio e siete proprio voi a dover fare la prima mossa.
In un gioco di ruolo si impersona qualcun altro in un altro mondo, con un altro carattere e con un'altra storia, con altri obiettivi e con altre paure. Ci sono delle regole, e possono anche essere numerose, ma sta a voi e alla vostra inventiva piegarle ai vostri scopi, risolvendo enigmi, superando combattimenti, smascherando complotti e vivendo grandi avventure.
Eccitante? E' dir poco. Soprattutto se lo si vive in maniera seria (naturalmente senza esagerare... come purtroppo accade talvolta) creando un proprio personaggio complesso, intrecciando relazioni di ogni tipo (amicizia, odio... amore?) con gli altri giocatori, vivendo il mondo altro in cui si viene catapultati partita dopo partita. E non è facile distaccarsi da questa immane opera creativa, ricordarsi una volta finita la serata che quel mondo non esiste, che nella realtà non si è il prode cavaliere o il misterioso incantatore ma che anzi proprio costoro (che spesso sono delle raffigurazioni di vite diverse che vorremmo vivere ma alle quali non siamo giunti nel nostro percorso personale) dipendono da noi e da quella scintilla di immateriale che ci permette ancora di sognare.
La storia va avanti. C'è un narratore che la racconta e che stabilisce l'esito delle vostre azioni, ma voi decidete cosa accadrà e ne scoprirete tutti i più reconditi intrecci. Anche al di là della scheda che definisce in maniera aridamente numerica quanti sortilegi potete lanciare, quali tipi di circuiti di navigazione interstellare siete in grado di riparare o quanto siete conosciuto dalla malavita di una certa città.
Il gioco di ruolo, quello vero, porta il giocatore anche al di là delle regole stesse. Lo porta a interrogarsi sul perchè di quelle regole stesse, plasmandole intorno a sé e al proprio comportamento nel corso della partita.
Il tutto, perchè no, alla ricerca di un nuovo angolino di noi stessi che rimaneva ancora inesplorato.

martedì 5 maggio 2009

Rimorsi

“Se hai un rimorso di coscienza sul prezzo di una miniatura
o di un gioco che desideri acquistare,
non spendere inutilmente il tuo denaro: non li desideri abbastanza.”

sabato 2 maggio 2009

Giocare il gioco o giocare le regole?

Quando ci apprestiamo ad una nuova partita, magari con un regolamento che conosciamo piuttosto bene, cos’è più importante per noi: cercare di ottenere risultati migliori sfruttando le meccaniche delle regole, oppure tentare di immedesimarci in quello che vediamo sul tavolo allo scopo di carpire lo “spirito” della simulazione? E’ un dilemma tipico del giocatore, soprattutto se esperto, ed ha un’importanza fondamentale, perché sarà alla base del suo comportamento ludico. Il giocatore “regolamentare” o “oggettivo” ha spesso dalla sua una conoscenza quasi maniacale del testo delle regole (ecco perché tenderà a specializzarsi solo in un numero ristretto di titoli), porrà estrema attenzione allo svolgimento della partita, sarà impegnato in una continua attività di calcolo di tutte le variabili in gioco (non di rado lo si scoprirà a mugugnare sottovoce strani mantra come: “Più uno perché ha mosso quel pezzo... Meno due perché occupo quella casella... Più tre per la carta che potrei utilizzare se lui...”). Altra sua caratteristica tipica - e spesso assai fastidiosa per tutti gli altri giocatori - è quella di impiegare tempi biblici prima di effettuare una mossa, impegnato com’è dai suoi calcoli e controcalcoli. Questo tipo di giocatore definirà la vittoria come la somma delle singole decisioni prese nel corso della partita sulla base di un attento apprezzamento delle circostanze, e il vincitore per lui sarà colui che meglio ha saputo sfruttare le regole per ottenere il massimo risultato dai fattori in campo. All’altro estremo, il giocatore “evocativo” o “soggettivo” predilige un approccio meno problematico al gioco e tenderà ad accostarsi ad un numero molto più elevato di titoli, pagando lo scotto di una certa superficialità nella conoscenza dei rispettivi regolamenti. Giocherà anche per vincere, ma il suo scopo essenziale è quello di perdersi nella partita, passare qualche ora senza dover pensare troppo e assumendo un’attitudine più “creativa”. Non è di certo indifferente alle regole, ma ritiene che esse siano strumentali a simulare sul tavolo una data situazione che poi saranno i giocatori a dover ricreare nella sua interezza. Per lui la vittoria arride a chi ha meglio interpretato la partita, ha compreso istintivamente cosa stava accadendo ed ha volto a suo favore la situazione. Spesso, travisando, si ritiene che solo questo secondo tipo di giocatore si diverta veramente. Niente di più falso, perché il gioco è per definizione un’attività puramente volontaria e il giocatore “oggettivo” continua a giocare proprio perché in questa sua continua attività di calcolo trova il proprio godimento intellettuale. Che poi sia sovente un giocatore antipatico o comunque meno “estroverso” di altri è un problema che non lo riguarda, e francamente non riguarda nemmeno il gioco in sé, visto che lo scopo di quest’ultimo è proprio il divertimento condiviso di più persone. Discorso diverso va fatto per i regolamenti. Sì, perché alcuni di essi paiono essere sostanzialmente basati su una pura attività di calcolo di modificatori, consultazione di tabelle e moltiplicatori di situazione; così facendo perdono di vista la realtà che vogliono simulare, perché costringono il giocatore a spostare la sua attenzione dalla situazione sul campo o sul tabellone ai fattori numerici che ne gestiscono lo svolgimento, fattori che per la maggior parte dovrebbero operare in maniera “nascosta” o comunque intuitiva. In conclusione, se un regolamento viene apprezzato sia dai giocatori oggettivi che da quelli soggettivi allora con ogni probabilità sarà un buon regolamento. Sufficientemente evocativo, ma anche complesso quanto basta per non divenire banale.

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