domenica 28 giugno 2009

Il culto dell'esagono

I giocatori più “sfegatati” hanno due figure geometriche che rivestono un'importanza quasi mistica nella loro esistenza: il cubo dei dadi e l'esagono delle mappe.

Questa pitagorica tendenza alla venerazione di tali figure deriva dalla frequenza con cui esse compaiono nella loro vita ludica.

Tralasciando per il momento il volubile e anti-probabilistico dado (anti-probabilistico nel senso che un dado, se ha deciso di fare 1 per tutta una serata, lo farà indipendentemente dal numero di tiri effettuati), concentriamoci su quell'esagono così familiare ai giocatori di wargames ma non solo.

Ispirati dalla saggezza della natura che proprio con gli esagoni costruisce quelle meraviglie dell'ingegneria che sono gli alveari e frustrati dai continui problemi di gestione dei movimenti posti dai più semplici e rozzi quadrati, i creatori dei primi wargames si rivolsero a questo poligono e ai suoi sei lati capaci allo stesso tempo di fornire una gamma sufficiente di variabili nei movimenti e negli orientamenti delle unità e di rappresentare con la loro griglia le caratteristiche salienti di qualsiasi terreno. Tanto che perfino oggi, in un'oscura epoca in cui i wargames su tabellone sono riusciti a salvarsi da un inarrestabile declino solo grazie ad una loro progressiva ghettizzazione sui tavoli di pochi e irriducibili appassionati (indovinato, io sono tra quegli irriducibili...), l'esagono continua a dare sfoggio delle proprie virtù in giochi a larga diffusione in cui sia necessario costruire una mappa senza eccessive complicazioni.

Già, perchè per quanto sia bello poter muovere liberamente le proprie truppe o “schiccherare” i propri calciatori di Subbuteo senza una griglia prestabilita, i giochi che riconducono i movimenti dei pezzi in una griglia esagonale risolvono d'un colpo una buona parte dei tipici problemi di complessità di qualsiasi regolamento (passa una bella differenza tra “I miei arcieri possono tirare contro... cosa vuol dire che non li vedono perchè i bersagli sono sul loro fianco? Misura meglio l'angolo di tiro... no, non dai centri delle unità ma dai bordi come è scritto a pagina 37, nella sezione del tiro a distanza!” e “Ok, sei a tre esagoni di distanza nel mio arco frontale e visto che i miei arcieri sono armati di archi lunghi tirano tre dadi per colpirti”). Certo, talvolta la battaglia diviene un po' “meccanica” per colpa di coloro che passano tutta la partita a determinare a quanti esagoni possono posizionarsi, calcolando le distanze di tiro, i fattori di movimento e quelli di combattimento di tutte le unità con quattro turni d'anticipo (ma anche nel wargame tridimensionale esistono i famigerati “contatori di centimetri”!); però la battaglia va avanti, con geometrica e indubitabile chiarezza.

Insomma, l'esagono è vivo e lotta insieme a noi, continuando ad essere ormai da mezzo secolo un vero e proprio simbolo del gioco intelligente.

lunedì 22 giugno 2009

L'inutilità del gioco

A che serve giocare?

La domanda viene posta con regolarità ad un giocatore abituale e, bisogna ammetterlo, talvolta attraversa anche la sua mente. Perchè dedicare una parte rilevante della sua vita, di quel poco libero che la vita di oggi ci concede (soprattutto a chi deve conciliare l'attività ludica con gli impegni dello studio, del lavoro o magari della famiglia!), di quelle scarse energie residue che si hanno alla fine di una giornata a mettere insieme eserciti, studiare regolamenti o più semplicemente aprire una scatola e trascorrere una serata a tirare dadi e a muovere segnalini su di una mappa?

Il gioco non è forse un'attività inutile per definizione? Non produce nulla di reale perchè parte da presupposti non reali, non è un bisogno naturale sostanzialmente insopprimibile come il nutrimento o la respirazione, è un'attività puramente intellettuale i cui effetti nascono e periscono nell'arco di una partita e nello spazio delimitato dal tavolo da gioco. E dunque, a cosa serve giocare? Cosa ci dà di così prezioso che lo rende, per alcuni di noi, un'attività importante della propria esistenza alla quale è giusto accostarsi con tanta dedizione?

Si potrebbe risolvere il tutto nell'ambito della socialità. L'uomo è animale sociale, non può vivere senza gli altri e il gioco è una forma di socializzazione. Sì, però questa risposta non ci basta. Esistono altre forme di rapporto interpersonale che esulano dal gioco intelligente, altre passioni che possono unificare le persone, altre attività che ci possono far trovare fianco a fianco con altri individui.

A meno che non si ritenga che qualsiasi forma di socializzazione è, in fondo, un gioco. Ha delle sue regole, crea una ricchezza intellettuale che esula dai bisogni materiali, forma legami che valgono solo per le persone coinvolte in quella stessa attività interpersonale, vede tutti “competere” più o meno alla pari con altre persone al fine di ottenere una posizione di prestigio e di evidenza nell'ambito di una comunità. Anche nella socializzazione ci sono vincitori e sconfitti, nonché numerosi “pareggi” (compromessi, rinunce reciproche per trovare un'intesa, comprensione dei propri limiti e di quelli altrui).

Forse questa asserzione assomiglia a quella filosofica notte in cui tutte le vacche sono nere. E allora, per sfuggire all'insidiosa trappola, possiamo dire che il gioco formalizzato e riconosciuto da tutti come tale altro non è che una forma di socializzazione in cui le regole generali del convivere vengono codificate con precisione, in cui i rapporti interpersonali divengono rapporti di forza sul tavolo da gioco, in cui gli esiti finali sono (nella maggior parte dei casi) chiari e indubitabili. Forse il gioco in senso stretto è una socializzazione che si è tolta la maschera e nella quale, una volta tanto, ci si muove a viso aperto e con delle regole chiaramente esplicitate.

Il gioco quindi unisce, determina coesione (o anche rancori e odi duraturi...), crea. Perchè se è vero che nell'universo nulla si crea dal nulla, è anche vero che la mente umana ha il grande potere di creare dall'immateriale, di produrre concetti e sensazioni laddove prima vi era solo il deserto dell'intelletto. Il gioco narra una storia, regala emozioni, stimola innovazioni. In questo senso il buon Huizinga riteneva che tutta la cultura fosse essa stessa un'attività ludica, apparentemente inutile ma fondamentale e determinata da regole estremamente precise, ed è difficile dargli torto.

Se è proprio così, se il gioco è cultura e la cultura è gioco, potremmo trovarci di fronte al paradosso che l'attività apparentemente più inutile della nostra esistenza è invece l'applicazione più importante alla quale possiamo rivolgere il nostro intelletto.

venerdì 12 giugno 2009

Il wargame light, con il 50% di regole in meno!

Premessa: qui non c'entrano nulla le diete (anche se molti giocatori, wargamers o no, di solito qualche chiletto di troppo tendono ad averlo... spostare pezzetti di piombo e plastica su di un tavolo non è un granchè come esercizio fisico). Con wargame light intendiamo tutti quei regolamenti che prediligono la rapidità e la giocabilità, anche a scapito della precisione della simulazione.

Ora, i wargamers più intransigenti (tanto per intenderci, i vecchi grognards che si arrabbiano se in un gioco non viene rappresentata la differenza tra la capacità di penetrazione di un carro Sherman armato con cannone da 76 millimetri e quella di un semplice Sherman da 75 millimetri, magari nemmeno armato con colpi a carica cava...) considerano questo genere di giochi più o meno come un abominio. Eppure, i primissimi esemplari di wargames commerciali seguivano proprio questo modello e oggi sempre più titoli portano avanti questa tradizione: poche regole, poche unità, pochi modificatori da considerare e un bel po' di tiri di dado da fare durante il turno (titoli come la meravigliosa serie di Commands and Colors dedicata al periodo antico o ancora l'ottimo Tide of Iron che ricrea gli scontri della seconda guerra mondiale, tanto per fare un paio di nomi).

Ma fino a che punto ci si può spingere nella semplificazione della simulazione?

La domanda ci fa comprendere come, paradossalmente, sia molto più facile concepire un wargame ultra-sofisticato piuttosto che un gioco di simulazione più semplice, perché quest'ultimo da un lato dovrà rimanere comunque interessante e dall'altro dovrà garantire un maggiore equilibrio tra i diversi elementi di gioco: se, ad esempio, decidiamo che tutti i carri armati americani tirano un certo numero di dadi, indipendentemente dal calibro del loro cannone, diventa necessario bilanciare con estrema attenzione questo valore poiché riguarda un numero molto maggiore di pezzi. La semplicità delle regole è dunque solo apparente, o per meglio dire il regolamento tenderà ad avere poche meccaniche ma tutte funzionali e ben sperimentate.

D'altronde, non è detto che tentare di simulare ogni singolo fattore dell'evento porti ad un risultato statisticamente congruo con la realtà. Per dirla in breve, se metto un modificatore per la qualità del cannone, per il tipo di proiettile, per la distanza tra un carro armato e l'altro, per lo spessore e l'angolazione della corazza, per quanto ha mangiato a colazione l'artigliere e chissà che altro non necessariamente simulerò a dovere l'evento. Questo perché ogni regola è per definizione una forzatura della realtà, e l'aumento del numero delle regole porterà ad un aumento delle forzature.

In più c'è anche un altro fattore da considerare, ed è un'evoluzione recente che fa storcere il naso a molti appassionati della prima ora. Il mondo del gioco intelligente e perfino quella nicchia elitaria del wargame si sta aprendo alle masse; masse che non hanno il tempo e la voglia di leggersi regolamenti da quaranta pagine o di attrezzare tavoli da gioco con centinaia di pezzi, ma che d'altro canto hanno il desiderio di accedere al mondo della simulazione grazie alle loro conoscenze storiche personali o semplicemente per ricerca di qualcosa di diverso. Di qui una necessaria semplificazione e un ritorno a meccanismi simulativi più semplici, che magari permettano di simulare uno scontro di buone dimensioni in un paio d'ore, piuttosto che in un paio di giorni!

Giochi più semplici ma, spesso, più avvincenti e perché no più "cinematografici".

sabato 6 giugno 2009

Regolamenti

“Non è il numero delle pagine di un regolamento che deve spaventare il giocatore, ma la grandezza del carattere tipografico con cui è stampato.”

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