venerdì 26 febbraio 2010

I giochi sottolio

Qualche anno fa, trovandomi al Palazzo delle Esposizioni di Roma per vedere una bellissima mostra sul futurismo, mi sono imbattuto in una mini-mostra di alcuni artisti contemporanei. Ora, ammetto di non essere un grande estimatore dell'arte più recente, ma un'opera in particolare mi ha colpito: i “libri sottolio”, una serie di volumi dei generi più disparati ben chiusi in barattoli ermetici e mai letti. Nella nostra vita, insomma, ci troviamo spesso ad acquistare libri che – vuoi per pigrizia, vuoi per mancanza di tempo, vuoi anche perchè sono stati comprati solo per fare un po' “bella figura” – finiamo con il non leggere mai.

Certo, quei poveri libri in barattolo erano una denuncia contro l'atteggiamento un po' ipocrita di chi vuole darsi arie da intellettuale solo dando sfoggio della propria supposta cultura, ma anche i giocatori cadono vittima di questa trappola, pur se in perfetta buona fede. Al di là di coloro (e ce ne sono...) che si limitano a collezionare scatole su scatole di giochi senza avere fin dall'inizio la minima intenzioni di aprirle, chi di noi non si è infatti trovato con dei “cadaveri ludici” nel proprio armadio?

Ogni gioco può finire sottolio. Non importa con quanto entusiasmo abbiate atteso la sua uscita, non importa se si tratta del gioco più semplice e rapido o del classico mastodonte che richiede almeno un'ora di preparazione per iniziare una partita, non importa se richiede delle condizioni particolari per essere giocato (un certo numero di giocatori, una certa disposizione mentale, una certa congiunzione astrale...) o se addirittura funziona anche in solitario. Nessun titolo è al sicuro e anche i giochi che adesso aprite quasi ogni settimana un domani potrebbero perdere il vostro interesse ed essere “superati” dall'ultima novità.

E allora eccole quelle scatole, alcune consunte altre nuovissime, ferme a prendere polvere sui vostri scaffali e relegate al rango di colorati (e costosi) soprammobili.

Chi vi scrive ne ha diversi in salotto, soprattutto titoli di generi “difficili”, come i wargames dedicati ai periodi storici meno conosciuti o le vecchie glorie che ritengo essere dei titoli stupendi ma che sono note a una decina di persone o poco più (nessuna delle quali vive in questo continente...). Ogni tanto mi capita di guardarli e vengo colto da un vago senso di rimpianto... non tanto per i soldi spesi nel loro acquisto (tanto ormai...) ma per la mancata soddisfazione ludica che non potranno mai darmi.

E allora mi scopro a riaprirli, a toglierli dai loro “barattoli”, a leggerne nuovamente il regolamento e magari anche a prepararli per una partita che non verrà mai giocata.

Ecco così che il gioco trascende dalla sua funzione, riuscendo a darci un divertimento pur non essendo realmente giocato. E' il gioco dei giochi, un'attività ludica mentale che prescinde da una concreta attività ludica fisica e che ci porta a fantasticare su quella che potrebbe essere una partita perfetta ad un gioco perfetto con avversari perfetti.

Può sembrarvi paradossale, ma a volte i giochi migliori sono proprio quelli che non vengono mai giocati.

mercoledì 17 febbraio 2010

Apologia pro Beatrice Boero

Ok, il titolo è un po' provocatorio, ma che volete farci... il mio ascendente scorpione e il mio snobismo di fondo mi spingono inevitabilmente a rompere le scatole e a fare il bastian contrario. Soprattutto, visto il rumore che la questione sta suscitando nel mondo ludico italiano, mi impongono di dire la mia.

La questione inizia qui, da questo articolo del Tempo (che vi prego di leggere, se già non lo avete fatto).

I giochi di ruolo dal vivo assimilati alle risse tra tifosi da stadio. L'attività ludica vista come una sottospecie di satanismo. La figura del master paragonata ad una sorta di arbitro/carabiniere che deve placare i “bassi istinti”. Le armi in lattice considerate come strumenti di offesi atti a provocare ferite, addirittura mortali, nei partecipanti ai live.

Eppure, la stessa giornalista Beatrice Boero - che ora si è tirata addosso l'ira e i peggiori improperi da parte di tutti i giocatori italiani - qualche tempo fa aveva scritto quest'altro articolo in cui parlava in termini tutt'altro che negativi dei giochi e di chi li praticava.

Ma cosa è successo nel frattempo? Cosa le ha fatto cambiare idea, spostandola su posizioni analoghe ai peggiori denigratori della nostra passione?

Se esaminiamo l'articolo placando per un attimo la nostra indignazione, ci rendiamo conto che le peggiori scempiaggini (perchè tali sono) che la Boero ci rifila provengono dall'intervista a due giocatori, Morgana e Franco. Sono loro a suffragare dalla loro posizione di esperti intervistati le accuse fatte al gioco di ruolo dal vivo ed assimilabili nella sostanza a quello del gioco in generale.

Ed è proprio questo che alla fine mi ha spinto a pensare che sì, l'articolo è scritto male, porta avanti dei pregiudizi sbagliati, è inesatto, è odioso... ma che la colpa non è proprio tutta della giornalista, la quale in fondo altro non fa se il suo lavoro (magari un po' male, ma non si può pretendere una preparazione enciclopedica da un'articolista di cronaca bianca chiamata ad occuparsi ogni giorno delle materie più disparate).

Perchè delle due l'una.

O la Boero ha stagliuzzato e riaggiustato le dichiazioni dei due giocatori, e allora i due intervistati dovevano rendersi conto della persona con cui avevano a che fare e stare più attenti a quello che dicevano; oppure le loro risposte sono state rese in maniera veritiera, e allora ci troviamo di fronte ad un caso di rara ingenuità e soprattutto di imperdonabile superficialità (soprattutto da parte di chi partecipa ad un gioco che si chiama In Nomine Satanis... andiamo, non vi viene il sospetto che un'ambientazione con questo titolo possa essere travisata? Non è il caso di tenersi pronti a rispondere a tono ad eventuali domande insidiose?).

Certo, vi è anche una terza ipotesi, ossia che la Boero abbia inventato tutto di sana pianta, interviste comprese, per portare avanti la sua crociata contro i giochi di ruolo dal vivo violenti ed immorali. Però il mio caro amico Ockham e il suo infallibile rasoio mi porterebbero ad escludere tale ipotesi per tre ragioni: primo, una giornalista regolarmente iscritta all'Albo di Roma rischia uno screditamento professionale mica da poco a fare un giochetto del genere; secondo, le risposte paiono molto dettagliate (citano precise somme di denaro e aspetti poco noti a dei “profani”); terzo, alla Boero costava molta meno fatica trovare un paio di giocatori e chiedergli di parlare delle loro attività, piuttosto che inventarsi chissà quali particolari su di un argomento del quale sa poco o nulla.

E dunque qui sta la nostra colpa come giocatori. Quasi un anno fa vi parlai sempre da questo blog della deprecabile tendenza dei giocatori a sentirsi superiori rispetto ai “non giocatori” finendo col creare una ghettizzazione volontaria; ora non posso non lamentare un'altra pessima abitudine, quella della superficialità e dell'improvvisazione.

Noi tutti dobbiamo svegliarci e prendere coscienza che il gioco organizzato - soprattutto quello a maggiore evidenza esterna, come il gioco di ruolo dal vivo - non è più un semplice passatempo per pochi eletti, ma un fenomeno sociale con conseguenze economiche non indifferenti e ormai sotto i riflettori dei media. Non dico che sia necessario un ufficio stampa per ogni singola associazione ludica, ma di sicuro è opportuno che tutto il mondo ludico acquisti questa consapevolezza condivisa: basta ingenuità, siamo persone adulte che praticano uno sport della mente e pertanto le nostre associazioni devono dotarsi di una “professionalità ludica” irreprensibile.

Negli anni scorsi ho sempre avuto la fortuna di far parte di associazioni che adottavano tale approccio, fin dai tempi delle bellissime serate passate ad impersonare in un gioco di ruolo dal vivo un cadetto dell'Accademia della Flotta Stellare per arrivare alla pur faticosa ma sempre esaltante organizzazione dei vari Giocaroma.

La Boero ha certo scritto un pessimo articolo, la foto presente sul sito è stata presa "senza autorizzazione" da un sito scelto a caso (anche se, va detto, non è mai l'autore dell'articolo a scegliere le immagini a corredo), Il Tempo si è indubbiamente comportato in maniera scorretta disabilitando d'autorità i commenti all'articolo stesso e quindi negando il diritto di replica agli interessati (pur se lodevole è stata la pubblicazione oggi di una delle tante lettere inviate alla redazione dalle associazioni ludiche giustamente sul piede di guerra)... però la nostra indignazione – secondo il modesto parere di chi scrive – deve essere indirizzata tanto agli autori di un così rozzo e violento attacco, quanto a quegli appassionati che ancora non si sono resi conto che il gioco è una delle attività più serie a cui possa dedicarsi un essere umano e che non tutto ciò che lo riguarda può essere improvvisato o raffazzonato.

E forse l'unico lato positivo dell'intera vicenda sarà proprio quello di una maggiore coesione tra le diverse realtà ludiche, nata alla luce dell'esigenza di dare una risposta comune e ragionata alla solita valanga di banalità dalla quale siamo stati ricoperti.

lunedì 15 febbraio 2010

Viva i castelli di sabbia!

Il termine è sandbox, letteralmente “scatolone di sabbia”, ossia uno spazio recintato riempito di sabbia che va per la maggiore nei parchi per bambini americani (nelle puntate dei Simpson lo si vede spesso!) e nel quale si possono creare piste per le biglie, costruzioni e quant'altro. Noi figli della cultura marittima mediterranea potremmo accostarlo ai “castelli di sabbia” con i quali mediante secchiello e paletta intere generazioni hanno ornato le spiagge di tutta la penisola.

In ambito ludico, il concetto è semplice: un sandbox non è un gioco definito, limitato da regole applicabili solo in uno specifico sistema. Un sandbox è un gioco che fissa solo dei “paletti” molto ampi, all'interno dei quali il giocatore si muove pressochè liberamente per ricreare un “ambiente” che assecondi i suoi gusti.

Tanto per capirci, parlando di videogiochi, la serie di Sim City è fin dalla sua primissima incarnazione l'esempio più classico di sandbox. Usando le meccaniche di base fornite dal programma si può creare la città che si vuole, bella o brutta, industriale o ecologica, commerciale o residenziale. Il gioco si preoccupa unicamente di mantenere una plausibilità alle attività del giocatore (indipendentemente da quello che le sta intorno, una centrale a gas produrrà sempre un certo quantitativo di inquinamento, che bisognerà compensare in qualche modo), una coerenza interna che andrà rispettata... ma nel modo e con gli strumenti liberamente scelti dal giocatore.

In altri termini, un sandbox è un gioco che ti permette sostanzialmente di fare quello che vuoi, esprimendoti liberamente e creando il tuo mondo senza dover necessariamente apportare delle varianti esplicite alle regole.

Anche nel campo dei giochi da tavolo e dei wargames esistono i sandbox. Possiamo citare ancora una volta Commands and Colors: Ancients che fornisce delle unità generiche ed una mappa ad esagoni mobili da ricombinare di volta in volta per ricreare le più svariate battaglie dell'antichità o perfino battaglie ipotetiche. Possiamo ricordare un sistema di skirmish da me molto apprezzato, quello dell'italianissimo Song of Blade and Heroes (su Gioconomicon troverete la mia recensione dell'ultimo arrivato nella serie: il moderno Flying Lead), sul cui impianto di base si possono innestare regole aggiuntive che modifichino sostanzialmente lo svolgimento della partita in base alla situazione che si vuole simulare.

Naturalmente – con tutte le sue promesse di libertà creativa – non dobbiamo pensare che il sandbox sia un modello ideale a cui tutti i giochi devono tendere. Un sandbox rischia di sembrare eccessivamente generico nelle sue regole, per forza di cose perde alcune sottigliezze tipiche dei giochi più specializzati, alle volte sembra “piatto” a causa delle numerose semplificazioni che deve fare per creare delle regole adattabili un po' a tutto.

Insomma, creare un buon sandbox è un'impresa molto difficile per un game designer. Ma i pochi che sono riusciti a farlo hanno generalmente ottenuto dei risultati ottimi, dei veri cult del panorama ludico.

Un po' come i nostri cari castelli di sabbia, un gioco che si ripete da secoli sulle coste di tutti i mari.

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...