martedì 28 giugno 2011

Il Fattore C...

(Questo post è stato ispirato da ed è dedicato a Zerloon, grande compagno delle mie scorrerie ludiche nonché uomo dotato di incredibili poteri probabilistici... incredibili, ma sbagliati)

OK, lo conoscete tutti. E' quella dannata forza nascosta che manda in rotta la vostra unità migliore nell'ultimo turno, trasforma la giocata più meditata in un fallimento imbarazzante, rende del tutto inutile i ragionamenti logico-strategici di un'intera serata, fa dipendere l'esito di un intero scontro da un unico maledettissimo tiro. Si manifesta spesso in quel diabolico marchingegno che è il dado, ma può anche assumere la forma di una carta, una moneta o perfino di una decisione imprevedibile dell'avversario. 
E' lui, il terribile Fattore C (da non confondere con il Progetto C, che è tutta un'altra cosa...).
Croce e delizia di ogni giocatore, è un elemento - se non L'elemento - di fondamentale importanza per un game designer. Uno degli obiettivi primari della fase del playtesting, il "collaudo" che con i suoi aggiustamenti ci porterà dal prototipo al prodotto finito, è infatti proprio la calibrazione di questo elemento, in modo che non rovini il divertimento degli usufruitori finali pur apportando il suo carico di dinamicità al gioco stesso.
Ma come si fa a equilibrare un fattore che non si può definire, come la fortuna? E non sarebbe meglio ridurlo al massimo o eliminarlo del tutto, così che solo le abilità dei giocatori possano influire sull'esito finale?
Innanzitutto, come ho già avuto modo di affermare in passato, ritengo che l'elemento casuale, la "fortuna", sia imprescindibilmente legato allo stesso concetto di gioco. E' l'alea di Caillois, quell'imprevedibilità del risultato che ci dà la "vertigine", ossia il piacere dell'ignoto e la sensazione di dominio della realtà che è alla base stessa del nostro bisogno di giocare. 
E non crediate che basti eliminare i dadi per togliere di mezzo la Dea Bendata! Nemmeno giochi apparentemente meccanico-deterministici come gli scacchi ne sono immuni, perché sull'andamento della partita influiranno elementi da noi non controllabili o inconoscibili, come le conoscenze dell'avversario, la sua predilezione per questo o quell'atteggiamento tattico, il fatto che abbia di recente studiato una nuova variazione che voglia mettere in pratica per la prima volta o perfino la sua tendenza all'errore.
Insomma, senza fortuna non c'è gioco.
E, allora, l'elemento casuale è davvero un nostro nemico? Il detto di Machiavelli sulla fortuna è ben noto, essa "è donna, et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarla" (Il Principe, Capitolo XXV). Ora, non me ne vogliano le care signore (il buon Niccolò scriveva in un'epoca molto diversa dalla nostra per certi aspetti...), ma il significato dell'affermazione è che essa va dominata, contrastata e piegata al proprio volere.


Niccolò Machiavelli (1469-1527). Un vero genio, uno dei più acuti pensatori della storia dell'Occidente e precursore del concetto di esercito nazionale. Ma con uno come lui io non ci vorrei giocare nemmeno a rubamazzo...


Tuttavia, per farlo dobbiamo riconoscerla e capire come essa influisca sull'esito di uno scontro, di una lotta politica o (nel caso nostro) di una partita. Vi propongo dunque un mio sistema di analisi che credo sia utile per affrontare la questione.
Nell'ambito della fortuna, possiamo distinguere tra qualità e quantità di tale elemento.
Definiamo con quantità il tot di volte in cui un regolamento ci chiede di determinare un evento di gioco in una qualsiasi maniera (quanti tiri di dadi vanno fatti, quanto spesso e quante carte vanno estratte, quante svolte casuali sono previste nella partita). Definiamo invece con qualità la forza di questi eventi casuali rispetto all'andamento del gioco (quanto sono rilevanti gli effetti di un tiro di dado, l'estensione delle conseguenze di una determinata carta, quanto la preferenza per una scelta piuttosto che un'altra possa rivoluzionare il risultato della sessione di gioco).
Adottando questo schema di analisi, ci risulta possibile comprendere meglio il reale impatto dell'elemento casuale su di un gioco. Qualche esempio per capirci.
Un gioco in cui la qualità dell'elemento fortuna è minima, mentre la quantità è al massimo può essere Warhammer Fantasy, soprattutto per quel che riguarda le sue meccaniche di risoluzione del combattimento. Qui si tirano vagonate e vagonate di dadi, che però generano risultati da confermare e riconfermare (con lo schema divenuto ormai classico: tiro per colpire - tiro per ferire - tiro salvezza), ma che comunque - tranne alcuni casi in cui secondo alcuni il regolamento "sballa" - producono risultati molto "granularizzati", come la perdita di pochi modelli.
All'estremo opposto troviamo il venerando Diplomacy. Qui di dadi non ce ne sono proprio, l'elemento casuale sembra non avere alcun peso... salvo che basta che l'avversario ordini un attacco in una regione piuttosto che in un'altra, anche quando entrambe le scelte hanno lo stesso valore strategico, per mandare a rotoli la nostra manovra e forse l'intera partita. Qui la fortuna influisce relativamente di rado, ma quando c'è ha conseguenze devastanti, il che fa di Diplomacy il gioco ideale per l'applicazione del principio di Machiavelli di cui sopra (e non è un caso che esista una variante del sistema ambientata nell'Italia rinascimentale che porta proprio il nome del nostro insigne filosofo).
In mezzo avremo il pur complesso Battletech che, con i suoi relativamente pochi tiri di dado è in grado di determinare esiti di scarsa rilevanza (quante volte avete riempito un 'Mech avversario di piombo e laserate per poi scoprire che non gli avete fatto chissà che danno) o anche eventi catastrofici (una raffica quasi inutile di mitragliatrice che provoca una terribile esplosione interna delle munizioni, o un missile vagante che centra la testa del 'Mech nemico uccidendone sul colpo il pilota).
Naturalmente questo strumento di analisi non può essere applicato così com'è, rigidamente e senza criterio, pena incappare nella figuraccia dell'emerito Professor Prichard con i suoi stupidi schemetti resi immortali da L'Attimo Fuggente... Ad esempio, in uno stesso regolamento possiamo ritrovare meccaniche in cui l'equilibrio qualità/quantità dell'elemento casuale varia sensibilmente (lo abbiamo già detto, è il caso di Warhammer Fantasy, viste le differenze tra la citata granularità del meccanismo di risoluzione dei combattimenti e la drammaticità degli eventi legati ai test del morale o a quelli di fuga).


L'Attimo Fuggente (1989). No, NON vi sto suggerendo di valutare un gioco mediante un sistema di assi cartesiani!


Ancora, lo stesso sistema con le sue varianti può modificare tale bilanciamento, come succede con Commands and Colors. Nella sua versione più semplice, Battle Cry, il fatto che le unità non abbiano diminuzioni nel loro potenziale offensivo mantiene comunque elevata la quantità dell'elemento fortuna, ma al contempo ne abbassa relativamente la qualità visto che all'atto pratico perdere tre modelli o nessuno di un'unità non ha alcun effetto sul suo possibile fuoco di risposta. In CandC: Napoleonics, invece, il fatto che il numero di dadi tirati in combattimento dipenda dai blocchetti dell'unità ancora in campo va a intaccare la quantità della fortuna ma ne aumenta drasticamente la qualità, visto che basta "sbagliare" un assalto magari non preparandolo con un adeguato bombardamento d'artiglieria per rendere più difficile riprendere in mano la partita. La storia cambia con la versione Ancients, in cui - pur se dipendendo maggiormente dalle manovre del giocatore - l'elevato numero di carte che permettono di attivare una notevole porzione del proprio schieramento se correttamente allineato o che modificano radicalmente le sue capacità di movimento e offensive lasciano alta la quantità dell'elemento casuale incrementandone la qualità. 
Certo, va detto che in tutti i giochi di questa serie la fortuna ha un peso rilevante e la variazione nel suo equilibrio interno è stato un astuto espediente per caratterizzare i diversi titoli, rendendoli tutti potenzialmente appetibili. Potremmo dunque parlare di un terzo valore da calcolare, l'intensità della fortuna, ossia il prodotto tra la quantità e la quantità del caso in un dato regolamento.
Insomma, come avrete capito, valutare l'impatto dell'elemento casuale su di un gioco non è né un compito facile, né un'analisi che segue criteri sempre oggettivi. Quello che conta saranno unicamente i nostri gusti ludici in materia, che dovranno essere soddisfatti dal titolo che sceglieremo.
Il tutto capendo che dalla fortuna noi giocatori non potremo mai liberarci del tutto e che, in fondo, per risolvere questo annoso problema basta tirare sempre 6 (o 1... dipende dal regolamento!).

venerdì 24 giugno 2011

Progetto C: L'Aquila è atterrata!

Con l'arrivo del materiale di lavoro, la fase preparatoria del Progetto C può dirsi conclusa. Ora bisognerà rimboccarsi le maniche e - come diceva qualcuno - "passare alla modalità hardware".
Sono consapevole che se vi dicessi l'entità del Progetto pensereste che sono uscito di senno e che va in contrasto con molte cose che mi ero ripromesso in passato e che avevo anche detto, sia sul blog che a voce. Ma che ci volete fare, l'amore è amore... alla passione non si comanda, anche quando il suo cavallo tira da una parte e quello della ragione tira dall'altra.
Vi confesso che sono anche un po' emozionato. 
Mi sento come se fossi sul bordo di una collina, sul procinto di continuare per la mia strada e passare all'altro versante.
Vedremo (e vedrete!) cosa ne verrà fuori...

mercoledì 22 giugno 2011

Una questione di bilanciamento...

Non c'è niente da fare, ogni gioco deve sapere che cosa fare di sé stesso. Nel senso che deve decidere se è un gioco facile o complesso, breve o lungo, un filler o un megagame, una simulazione astratta o realistica.
Se queste scelte non sono chiare e non si riflettono su tutte le meccaniche, il gioco rimarrà a mezza strada, magari anche un'idea carina ma carente all'atto pratico. Se poi ci aggiungiamo qualche problemino di bilanciamento, allora - è proprio il caso di dirlo - il gioco è fatto...
Purtroppo questo è il problema principale che impedisce a Tank Attack! di essere davvero un bel gioco, nonostante le premesse (buona componentistica, un ottimo autore, regole snelle e aperte a possibili varianti, prezzo accattivante...) ci fossero tutte. Lo abbiamo provato l'altra sera e, ahimè, devo confessarvi che ne sono rimasto un po' deluso.

Decine di carri armatini colorati marciano su esagoni di cartone. Divertente? Non quanto sembra e soprattutto non quanto potrebbe essere...

Tank Attack! usa i classici carri armati del Risiko!, ma questa volta non dovremo conquistare il mondo bensì una mappa esagonata generata quasi casualmente dai giocatori a inizio partita. Le truppe partiranno dai rispettivi Quartier Generali e avranno come scopo l'eliminazione di tutti i QG avversari, né più né meno. Nuove unità saranno prodotte in base alla classica regola di un carro armato per ogni tre territori, con dei bonus per il controllo delle città disseminate sulla mappa.
Letto così sembra il classico strategico light e astratto, ottimo per introdurre al genere un neofita (con piccoli accorgimenti come gli effetti speciali dei terreni o gli spostamenti di fuga dei QG) o anche per essere giocato dai più piccoli. Peccato però che da un lato le possibilità di interazione e le scelte tattiche da prendere siano davvero troppo semplificate, dall'altro il gioco rimanga comunque troppo lungo con i suoi 60-90 minuti di durata per essere un buon riempitivo.
Il tutto, come dicevamo, aggravato da un favore eccessivo dato all'attaccante che rende quasi inutile rimanere sulla difensiva. Ad esempio, il combattimento funziona così: si tirano tanti dadi quanti sono i carri attaccanti e quei dadi colpiscono se esce un numero superiore a quello dei carri in difesa (in un terreno non ci possono essere più di sei carri). Ad esempio, se un terreno è difeso da due carri colpiremo solo con un 3 o più. Purtroppo, però, sul dado è presente anche il simbolo di un carro armato che rappresenta un successo automatico e - ancor peggio - quel simbolo sostituisce il numero 1. Se fosse stato, come era logico, piazzato sul 6 avremmo avuto la classica meccanica "alla Games Workshop" che, in maniera ben collaudata e funzionale, rende comunque possibile lanciare attacchi disperati contro ogni probabilità; così come stanno le cose, invece, è praticamente inutile lasciare un carro armato singolo a difesa di un territorio, perché verrà automaticamente eliminato senza esercitare un reale attrito, a parte l'obbligo per l'attaccante di lasciare a sua volta un altro inutile carro armato singolo di presidio.
Lo ammetto, l'esperienza di gioco non è stata aiutata dal fatto che fossimo in tre (il che si traduce inevitabilmente nel classico "due contro uno") né dal fatto che per un mio errore avessimo piazzato troppe città (è incredibile... riesco a commettere errori nell'applicare un regolamento anche quando questo è lungo solo quattro pagine!).
In conclusione, un giochino carino, che poteva essere qualcosa di ben più interessante e invece si ferma al livello di un qualsiasi freeware per computer, banalotto e alla lunga perfino un po' ripetitivo. Lo rigiocheremo - perché in fondo, nonostante tutto, è divertente - ma non subito.
Ben altro discorso, invece, per il secondo gioco che abbiamo provato in serata: Balance Duels. Immaginatevi il classico Backgammon. Solo che questa volta il tabellone è una bilancia e non dovete far toccare terra a uno dei piatti, pena la vittoria dell'avversario.
E questo piccolo espediente rivoluziona quello che è comunque uno dei giochi più affascinanti e diffusi in tutto il mondo. Le mosse che sarebbero strategicamente più vantaggiose possono diventare irrealizzabili, si è costretti a gestire con oculatezza l'afflusso di propri pezzi dall'altra parte del tabellone, si risolve l'unico problema del Backgammon ossia la possibilità di "tappare" l'avversario impedendogli di fatto di giocare.

Balance Duels, ovvero come creare un bel gioco con un paio di dadi, qualche pedina di plastica e una bilancia.

Il tutto con un regolamento facilissimo, divertente e molto rapido. Tanto che abbiamo fatto due partite in quaranta minuti, la seconda delle quali combattuta fino all'ultimo tiro di dado (accidenti a te, Yrkoon, prima o poi riuscirò a batterti... ci rivediamo sui campi di battaglia di Battle Cry!).
In altre parole, come realizzare un ottimo gioco, con delle meccaniche divertenti e con una chiara idea del tipo di esperienza ludica che vuole dare ai suoi giocatori.

lunedì 20 giugno 2011

Come ti rifaccio Waterloo...


Piccola premessa. Io ho un rapporto problematico con le riviste di wargames e di giochi in generale. Essendo praticamente nato tra le copie di una di esse (il nome Pergioco dovrebbe ancora significare qualcosa per i ludici più “attempati”... ecco, visto che ci scriveva sopra mio padre, ci ho sguazzato dentro per tutta l’infanzia!), le conosco bene e rischio per questo di trovarle terribilmente noiose.
Quando però mi trovo di fronte ad una rivista ludica fatta come si deve so apprezzarla. E’ stato il caso per parecchi anni della francese Vae Victis (se solo non fosse stata così terribilmente gallocentrica nelle sue tematiche... ma chiedere ad un francese di non avere manie di protagonismo è come chiedere ad un inglese di cucinare qualcosa di mangiabile). Lo è stato, per un po’ di tempo, con l’immancabile White Dwarf (che trovo ormai utile solo “a sprazzi” e un po’ troppo legata a logiche pubblicitarie dell’ultimo prodotto Games Workshop appena uscito, eccezion fatta per i soliti interessantissimi approfondimenti scritti da Jervis Johnson per la rubrica “L’Alfiere”). Lo è adesso con l’inglese Wargames Illustrated che, seppur rilevata dai produttori di Flames of War, mantiene una notevole varietà di argomenti e rispetta la sua tradizione tipicamente anglosassone di saper coniugare storia e gioco in maniera mirabile.
Esattamente come è successo nell’ultimo numero di Maggio, tutto dedicato (bavetta bavetta) alla Guerra dei Trent’Anni, con qualche simpatico accenno alla Guerra Civile Inglese (BAVONA BAVONA!!!).
Ma siccome WI è una rivista degna di questo nome, il numero conteneva approfondimenti anche su altri periodi, altri regolamenti, altre ditte produttrici di miniature e degli interessanti excursus di carattere storico e storiografico.
Come forse state già sospettando a causa di tutti questi paroloni snocciolati in fila (aver frequentato il Liceo Classico fa molto male... evitatelo!), è proprio di uno di questi excursus che voglio parlarvi.
Perché tra un pupazzetto e l’altro, spunta un articolo di svariate pagine - come sempre splendidamente illustrate con foto e diagrammi esplicativi - scritto da Barry Van Danzig. L’oggetto del contendere è disarmante nella sua semplicità: chi ha vinto a Waterloo?

Waterloo (1970), un vero filmone, diretto da quel genio che era Sergej Bondarchuk. Decine di migliaia di comparse in uniformi perfette, un gelido Christopher Plummer nei panni di Wellington e un esplosivo Rod Steiger nei panni di Napoleone. Il film che ha praticamente sbancato De Laurentis, ma chissene, è un capolavoro: guardatelo, marsch!
 
Ok, sappiamo che i francesi hanno perso (mannaggia... una delle poche volte in cui tifavo Francia!). Ma Waterloo è stata vinta più grazie alla tenace resistenza delle truppe anglo-olandesi oppure in virtù dell’intuito strategico del Maresciallo Blucher che ha saputo piombare al momento giusto sullo schieramento di Napoleone, determinandone così la disfatta?
La domanda non è peregrina come può sembrare. L’immagine che abbiamo di Waterloo come di un’eroica battaglia in cui la sottile linea rossa dei britannici riporta la vittoria su di un brutale e mal coordinato attacco in massa francese (con i prussiani che arrivano solo alle ultime battute, vedendosela con un nemico ormai già in dissoluzione) ci è stata inculcata da secoli di storiografia innegabilmente partigiana e dal fatto che la principale fonte su questo evento epocale è rappresentato dal resoconto di un certo Capitano Siborne, un testimone diretto che però avrebbe distorto i fatti a suo uso e consumo. Tanto che una nuova corrente storiografica tedesca rovescia questa visione, parlando invece di una decisiva vittoria delle armate prussiane accorse in perfetto stile Settimo Cavalleggeri a trarre d’impaccio un Wellington ormai alla frutta, capace solo di resistere disperatamente sulle sue posizioni ma sul punto di cedere di schianto. Ora ci manca solo una nuova corrente della storiografia francese che, con una faccia tosta degna del nostro miglior politico, descriva Waterloo come un “sostanziale pareggio rispetto alle elezioni amministrative precedenti” e poi siamo a posto.

La Battaglia della Berezina (26-29 Novembre 1812), episodio cruciale della ritirata di Russia. Ma secondo una nuova corrente della storiografia, i francesi e i loro alleati non si stavano ritirando, stavano solo avanzando in un'altra direzione. Con grande determinazione.

Van Danzig si è dunque posto la domanda fatale: ma Siborne c’era o ci faceva? Nel senso, chi l’ha vinta questa benedetta battaglia? E visto che le fonti dirette scarseggiano o sono inaffidabili, come possiamo farci un’idea realistica dello scontro?
Ed ecco che, piano piano, rotolano davanti a noi due piccoli oggetti di forma cubica. Due dadi da wargame.
Sì perché, non avendo di meglio da fare, il simpatico Van Danzig ha preso tutto il seminterrato di casa sua e ha creato un plastico TITANICO della battaglia, posizionando un gozillione di miniature nelle posizioni storicamente accertate sul campo di battaglia. Insomma, un po’ come i plastici di Bruno Vespa, solo che questo era corredato di baionette, squadroni di corazzieri e batterie di artiglieria da campo.
Dopo aver fatto tutto ciò, ha cominciato a ragionare applicando alcune meccaniche che possiamo ritrovare in qualsiasi regolamento di wargame. Quali sono le principali questioni irrisolte della battaglia? Perché in alcuni momenti quelli che erano unanimemente considerati i due migliori strateghi dell’epoca (Liddell Hart sostiene - secondo me correttamente - che era dai tempi di Zama, con Scipione e Annibale, che non si vedeva una battaglia combattuta da due comandanti altrettanto capaci) commettono delle immani stupidaggini? E perché intere porzioni dei due schieramenti si comportano in maniera totalmente illogica, rischiando di compromettere più volte l’esito finale?
Per esempio, molto si è malignato - soprattutto da parte inglese - sull’improvviso cedimento delle truppe olandesi al centro della linea alleata, che avrebbe costretto Wellington a ordinare le dispendiose cariche di cavalleria e a sacrificare le truppe scozzesi del Generali Gordon e quelle inglesi del Generale Picton (facendoci rimettere la pelle anche ai due suddetti ufficiali). Scarsa qualità delle truppe, oltretutto poco affidabili visto che fino a pochi anni prima avevano addirittura combattuto sotto gli ordini dello stesso Napoleone? Calandosi sul suo mega-plastico, Van Danzig ha ricostruito la visuale delle truppe olandesi, scoprendo che si trovavano nel punto oggettivamente più esposto del campo e che erano praticamente adiacenti ai famosissimi Rifles britannici; i quali, avendo subito un numero enorme di perdite in un lasso molto concentrato di tempo, a un certo punto hanno pensato bene di ripiegare disordinatamente verso una posizione più protetta. E come sa ogni wargamer degno di questo nome, quando truppe di bassa qualità vengono attraversate o sono vicine ad unità di élite in rotta, devono fare un bel test del morale rischiando di darsela a gambe pure loro.
Altro problema: perché Napoleone, da genio indiscusso quale era, commette l’errore da principiante di intestardirsi a conquistare Hogoumont, trasformando una iniziale manovra diversiva in un ostinato assalto frontale che gli impegna migliaia di uomini contro una semplice guarnigione di 200 valorosi soldati inglesi? Se però vediamo tutto dall’alto, valutando le caratteristiche difficoltose del terreno della battaglia, le distanze e le possibili direttrici di marcia delle unità, ci accorgiamo improvvisamente che con quella mossa Napoleone riesce mirabilmente a “tappare” ben un terzo dell’esercito avversario impedendogli di passare il crinale e costringendolo a rimanere in attesa, pronto a reagire a uno sfondamento che non avvenne mai. Il tutto usando un quinto delle sue forze. Uno non diviene il più grande stratega della storia per caso...
Ancora, qual’è la logica delle insensate cariche di cavalleria di Ney contro i quadrati britannici seguite dall’ancor più assurdo assalto della Guardia Imperiale contro le posizioni ancora difese a sinistra e non contro il varco che si era creato al centro, dietro La Hay Sainte? E perché Napoleone quando si accorge di ciò che sta succedendo non solo non ferma il suo subordinato ma ordina altre cariche fino allo sfinimento? Perché visto dalla posizione di Ney, il primo ripiegamento inglese appare inevitabilmente come l’inizio di una rotta, perché il Maresciallo di Francia si era effettivamente portato dietro delle batterie di artiglieria a cavallo coi quali riuscì a spaccare dei quadrati britannici (i quali ottennero degli incredibili risultati sulle tabelle del morale per resistere in quelle condizioni con la maggior parte delle unità!) e ancora perché l’unico punto sufficientemente ampio per schierare tutta la Guardia era proprio quel punto del pianoro e nessun altro. Il che potrebbe spiegare anche il perché di una complessa manovra che diede agli inglesi un bersaglio ideale contro il quale puntare i loro moschetti.

Qualche anno prima di mandare De Laurentis in bancarotta, nel 1963, il diabolico Bondarchuk di cui sopra aveva girato il suo epico Guerra e Pace. Sette ore e mezza, trasposizione senza compromessi, un mattone terrificante... ma anche un film incredibilmente poetico, coinvolgente e più spettacolare di molti odierni colossal in CG. Certo, c'è il trascurabile dettaglio che per realizzarlo ha dovuto impegnare un intero Corpo dell'Armata Rossa...

In conclusione, Van Danzig utilizza due elementi fondamentali del gioco di simulazione. Da un lato, la possibilità di ricreare le condizioni soggettive dei comandanti e delle unità, le loro condiioni psicologiche, i campi di visibilità, le capacità operative sul campo; dall’altro, la possibilità di astrarre dei fattori tattici oggettivi con le meccaniche classiche del wargame e vederle in azione con una prospettiva analitica impareggiabile, calcolando le probabilità del verificarsi dei singoli eventi.
E con questi determina che Napoleone non era troppo “bolso” a causa dell’età, che i suoi “errori” erano tutti pienamente spiegabili e razionali, che Wellington combattè una battaglia contro un nemico formidabile e che Blucher arrivò proprio nel momento giusto. E allora, chi l’ha vinta questa battaglia?
Una conclusione definitiva non l’abbiamo, tanto che Van Danzig continua a moderare un lungo dibattito sull’argomento sul suo sito, proponendo comunque sulla rivista alcuni scenari che hanno lo scopo di mettere i “giocatori” (se ancora possiamo chiamarli così...) nei panni dei comandanti e di costringerli a fronteggiare i reali problemi posti dalle diverse situazioni simulate.
Insomma, può il gioco - e più specificamente il wargame - proporsi come strumento di indagine storica? Se il reenactment e la living history (avete presente quei magnifici pazzi che si vestono con le uniformi del periodo napoleonico o della Guerra civile americana e si prendono a fucilate a salve? Ecco, quelli!) hanno permesso di scoprire dettagli insoliti sulla vita di tutti i giorni dei soldati del passato, può la simulazione bellica svelarci il perché di determinati eventi?
Posso portare qui la mia esperienza personale, con i wargames che mi hanno aiutato a comprendere realmente alcuni princìpi tattico-strategici che avevo studiato sulla carta (conservazione delle forze, individuazione dello Schwerphunkt, rapporti tra tempo e spazio in un teatro operativo...). Tutte cose che, con un paio di dadi e qualche miniatura, ho appreso “sulla mia pelle” senza il distacco intellettuale di un libro di testo. Un po’ come quegli ufficiali appena usciti da Westpoint che dovettero comprendere a proprie spese (e soprattutto dei propri soldati) la differenza che passava tra il manuale dell’Accademia e le manovre sul campo.
E chissà che tenendo conto di ciò non si riesca anche a “sdoganare” un po’ questo nostro bistrattato hobby!

PS: Ah, ad avere il tempo e la possibilità... che meraviglia sarebbe applicare questa metodologia a battaglie come Solferino e il Volturno... Non appena divento milionario, ci faccio un pensierino...

martedì 14 giugno 2011

Progetto C: Si parte...

Cos'è il Progetto C?
Sorpresa, sorpresa...
Qualche indizio. E' una cosa alla quale tengo MOLTISSIMO. Un vero pet project ludico, una di quelle fissazioni per le quali i miei compagni di giochi mi detestano. Sarà un'impresa lunga, ma non ne saprete molto fino a quando non sarà quasi finita o giù di lì. Mia moglie lo sa e (come sempre) sopporta, ma sa anche che non ne deve fare parola! C'è di mezzo un'isola, o forse due...
Comunque dalle pagine del blog vi terrò aggiornati sui suoi avanzamenti, seppure a modo mio. Per ora diciamo che siamo ancora nella fase preliminare e che conto di iniziare le sperimentazioni del progetto entro questa settimana.
Un'ultima cosa posso assicurarvi. Se tutto va come spero, sarà spettacolare. Promesso.
Keep your Faith in God, but keep your powder dry!

mercoledì 8 giugno 2011

La passione del momento

Giusto per rendere un po' più dinamico e "interattivo" il blog (e magari anche per mascherare l'esasperante lentezza con cui pubblico nuovi post!), ho deciso di aggiungere un nuovo simpatico gadget sulla colonna di destra: i sondaggi!

Il primo della serie mi è stato ispirato da un post dell'ottimo blog Pawnderings e riguarda uno degli elementi più importanti di un gioco, ossia i suoi componenti. In linea di massima e potendo scegliere, quale tipologia di componenti preferite per un gioco? Quali sono i design più comodi, i materiali più resistenti al tempo, le scelte stilistiche più attraenti?

Fatemi sapere la vostra opinione e aspettatevi nuovi sondaggi nelle prossime settimane!

mercoledì 1 giugno 2011

Classic Battletech: E son botte... ma con giudizio

Ci sono voluti più o meno quindici anni, ma alla fine questa benedetta partita a Classic Battletech l'ho fatta. E sono, come dicono gli inglesi, "hooked". Agganciato. Irrimediabilmente.
Ora, una premessa necessaria. Nemmeno nei suoi primi anni il vecchio Battletech era un miracolo di velocità, e questa riedizione riveduta (non molto) e corretta (quello che serviva) non preme certo sull'acceleratore. E nonostante questo, con tutti i calcoli semplici ma numerosi che un giocatore deve farsi ad ogni mossa, posso capire per quale motivo ci siano giocatori che sono rimasti legati a questo regolamento per tutta la loro vita ludica. Lo capisco così tanto che temo di esserci cascato anch'io.
Il fatto è che, con tutte le sue complessità, CBT lascia una libertà d'azione che raramente vediamo su di un tavolo di gioco. Qui non si comandano dei carri armati "mascherati", dei robottoni che si comportano come batterie semoventi (anche se, qualora il giocatore lo voglia, li si può pure usare in questo modo). Qui siamo al comando di robottoni che sparano, corrono, saltano, nuotano, menano, calciano, spingono, caricano... e che in pancia hanno dei boileroni nucleari sempre a un passo dall'esplodere, cucinando nel frattempo a fuoco lento quel povero disgraziato di MechWarrior che ci si trova dentro.

La Squadra Alpha, manovrata in maniera davvero egregia dal Palazzo e da K. Peccato che le sue armi principali (l'AC/20 dell'Hunchback e il PPC del Panther) non abbiano fatto il loro dovere.

E, come nella migliore tradizione FASA (rispettata quasi con reverenza da Catalyst, l'attuale editore del gioco), per tutta questa roba da qualche parte c'è una regola. Volete sapere quanto costa la manutenzione di un 'Mech in una compagnia mercenaria? Quanto ci vuole ad un MechWarrior per riprendersi dalle ferite? Quanto danno si faccia un 'Mech che zompi addosso ad un altro? Quanta potenza perde un laser utilizzato sott'acqua? Quali siano le caratteristiche operative di un determinato reggimento sperduto al confine Steiner-Marik e da cosa siano determinate (comprese le paturnie del suo comandante)? E' tutto previsto nell'immenso corpus di regole che compone CBT.
Nella pratica, qual'è la conseguenza di tutta questa massa di roba, oltre al mal di testa assicurato per chi cerchi di assimilarla tutta insieme? Una forza narrativa e un coinvolgimento notevolissimi, che si sentono anche negli scontri più semplici. Come quello che abbiamo fatto noi.
Come già accennato, la partita è stata davvero lunga, all'incirca sulle tre ore (non era finita, ma con la quantità di danni inferti non credo saremmo andati avanti per più di trenta minuti). Va comunque  detto che tutti e quattro eravamo o totalmente digiuni o arrugginiti nella conoscenza delle regole; inoltre, ripensandoci a posteriori, le composizioni delle squadre proposte dal manuale per lo scenario non erano proprio adattissime e noi stessi ci siamo forse mossi con un po' troppa prudenza all'inizio della battaglia. Però, a parte un paio di cosette relativamente minori, non abbiamo commesso errori nell'applicazione delle regole, segno che le meccaniche sono sì tante ma anche semplici ed intuitive.

La Squadra Beta, composta da tre 'Mech e da un bersaglio mobile buono solo ad assorbire un po' di fuoco nemico (questo finché anche il nemico non si accorge della sua totale inutilità... il che succede intorno al secondo-terzo turno).

Lo scenario era un banale addestramento, con quattro 'Mech per parte. La Squadra Alpha era costituita da un Clint, un Hunchback ("Il Gobbo" con sulle spalle il Cannone della Morte Dolorosa, un AC/20 temibilissimo, capace di mettere KO un 'Mech leggero al primo colpo!), un Panther e un Quickdraw. La Squadra Beta, comandata da me e da Yrkoon, schierava un Dragon (soprannominato "Lavatrice Nucleare"), un Enforcer, un Hermes II (detto anche "L'Inutile", perché a parte correre come un matto da una parte all'altra del campo dobbiamo ancora trovare una sua qualche validità tattica!) e il vero protagonista, il Jenner (per gli amici "UltraPollo" o "ScaldaPollo", vista la sua forma e il fatto che fosse armato con così tanta roba da andare in overheating praticamente già al momento dell'accensione).
Le prime fasi, come vi accennavo, sono state fin troppo tattiche. Attestatasi su alcune alture, la Squadra Beta ha iniziato a contrastare l'avvicinamento dei nemici con le sue armi a lungo raggio. Peccato che di armi a lungo raggio ne avesse davvero pochine, qualche missiletto e un paio di cannonate che non hanno impensierito più di tanto l'accorta avanzata tra i boschi degli avversari. Mentre il Dragon si posizionava al centro nei pressi di un laghetto (ottimo per il raffreddamento!), l'Enforcer e l'Inutile prendevano possesso di una prima collina a nord mentre lo ScaldaPollo si posizionava dietro un pendio a sud, nella speranza di far cadere in trappola i nemici.
I quali nemici, però, non ci pensavano nemmeno di concedere questo favore e, coperti dal cannone a particelle PPC del Panther rimasto più indietro, contenevano il distaccamento a nord con l'ottimo Quickdraw mentre portavano l'AC/20 dell'Hunchback a gittata dello ScaldaPollo, con la copertura del Clint. Consapevole che una sola botta di quel cannone lo avrebbe fatto a pezzettini, il pilota del Jenner scopre le virtù della ritirata strategica, decidendo di ripiegare verso il Dragon. Peccato che per far questo scelga di usare i JumpJet... tiro di pilotaggio in cui bastava fare 5+ con due dadi da sei fallito, il Jenner crolla a terra al momento dell'atterraggio e perde in una sol colpo tutta la corazzatura posteriore. Evviva.

AHIA!

Con un 'Mech a terra, il veicolo principale (il Dragon) che si affanna a rischierarsi correttamente più a Sud, l'Enforcer in difficoltà a contenere il Quickdraw a Nord (lo fa crollare a terra, ma anche lui non è messo bene e non reggerà ancora per molto) e l'Hermes che è l'Hermes (correrà verso la collina a Sud ma non se ne accorgerà nessuno, tanta e tale è la minaccia che rappresenta...), la Squadra Beta si trova in difficoltà. Fortunatamente l'AC/20 dell'Hunchback non trova il suo bersaglio e il Jenner riesce a rialzarsi giusto in tempo per vedere la sagoma del Clint torreggiare sopra la collina.
E' a questo punto che lo ScaldaPollo si copre di gloria, volgendo le sorti dello scontro.
Correndo come un matto sulle sue zampette si posiziona direttamente dietro il Clint, praticamente appoggiando i suoi cannoni laser addosso al bersaglio, e spara con tutto quello che ha.
L'effetto è devastante. Pugnalato alla schiena e sommerso di missili a corto raggio, il Clint esplode in un lampo di luce quando i colpi del nemico raggiungono il suo reattore nucleare. KABOOM, un po' di radiazioni generosamente sparse per la campagna, e il Dragon che intravede nel mirino la forma sgraziata dell'Hunchback.
Il pilota dello ScaldaPollo, però, sa che è finita. E' lì, a un passo dall'AC/20 della Morte Dolorosa, senza una qualche corazza degna di questo nome a proteggerlo. Il cannone spara. E manca di nuovo! 
Approfittando della propria incredibile fortuna, il MechWarrior risale la collina a tutta velocità. L'Hunchback è circondato, lo scambio di colpi con il Dragon per ora non ha conseguenze di rilievo, l'Hermes continua ad essere totalmente inutile, e lo ScaldaPollo rischia addirittura di mettere KO il pilota del Gobbo quando, a sfregio e con la temperatura interna che si avvicina alla zona critica, si permette addirittura di lanciargli un paio di missili a corto raggio che colpiscono la testa!

L'Hunchback (in basso) circondato. Sarebbe riuscito a resistere? Se solo quel dannato AC/20 fosse riuscito a beccare qualcosa...

La partita si chiude qui, per sopravvenuta ora tarda. E qui scatta la trappola di CBT, perché anche dopo un primo scontro così impegnativo te ne torni a casa chiedendoti quali altre mosse avresti potuto fare, se hai usato correttamente le armi a tua disposizione, come avresti potuto impiegare al meglio un altro modello di 'Mech se lo avessi avuto, cosa si può fare per dare un senso all'Hermes (nulla)... Ed è solo uno scenario di prova, giocato con le regole introduttive! Se poi pensiamo che in una partita "normale" si possono usare anche carri armati, squadre di fanteria, elicotteri d'assalto...
Sì, il pericolo di ritrovarsi sommersi da una marea di regole e regolette, calcoli sempre più complicati, scelte tattiche sempre più complesse c'è. Ma c'è anche il fascino dell'ambientazione, la miriade di meccaniche per la caratterizzazione dello scontro, la possibilità di creare delle campagne epiche, la potenzialità narrativa degli scontri con l'avanzamento dei MechWarrior e l'evoluzione degli equipaggiamenti a disposizione della propria unità. E, di nuovo, tutto questo è previsto. Per tutto esiste una meccanica apposita, in attesa di essere utilizzata.
Insomma, CBT non è un gioco "facile" nonostante la "semplicità" delle sue meccaniche, ma ha un fascino indiscutibile che, personalmente, mi ha conquistato. 
Torneremo nella Sfera Interna, ci torneremo spesso...

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...